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Nel suo Decennale il  Master celebra la Convenzione assieme alla rivista “Bambini”!

Un anticipo del terzo  articolo: Educare all’ unicità. Tutelare lo sviluppo della personalità in un mondo che cambia

Sito rivista: bambini.spaggiari.eu

Shop dove poter acquistare il fascicolo: https://web.spaggiari.eu/shop/prodotti/rivista-bambini-anno-2019

Sviluppare la propria personalità nella società globale

 

La storia ormai trentennale della Convenzione di New York dovrebbe avercelo insegnato: il riconoscimento di un diritto non serve a tutelare una persona se questa non viene prima di tutto riconosciuta nella sua unicità.

Troppe volte abbiamo pensato all’infanzia come ad una categoria onnicomprensiva, i cui confini trascendono il tempo e lo spazio, senza focalizzare l’attenzione sugli sguardi, sulla storia, sulle prospettive, sulle aspettative di ciascuno dei bambini che fanno di quell’infanzia così astratta un concetto concreto. Quante volte abbiamo considerato i diritti come un processo dall’esterno all’interno, come se il solo fatto di aver coniato diritti ad hoc per i bambini e di aver designato un adulto a farsi garante del loro rispetto fosse sufficiente a conferire a tutte le infanzie del mondo la giusta dignità. Quanto più faticosa e sottovalutata, invece, è stata la necessità di costruire processi dall’interno all’esterno, per rafforzare nei bambini la consapevolezza dei propri bisogni e per attivare le competenze adeguate per riconoscere, denominare, richiedere apertamente ciò che, nella maggior parte dei casi, corrisponde ad un diritto naturale del bambino-essere umano.

Perché costruire percorsi di crescita, educazione, formazione assieme ai bambini che si orientino in quest’ultima direzione equivale davvero a riconoscere uno dei diritti più importati, più controversi e, purtroppo, più sottovalutati della Convenzione che, all’articolo 29, prevede che gli Stati parti individuino  come prima finalità nell’educazione del fanciullo quella di favorire lo sviluppo della sua personalità, nonché delle sue facoltà e attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità.

A volte pensiamo che supportare il bambino nello sviluppo della sua personalità sia la naturale conseguenza di un’adeguata valutazione delle sue attitudini e capacità in fieri. E siamo convinti dell’assoluta necessità di prevedere, orientare, indirizzare, a volte evitare, scongiurare, quando non assertivamente negare. Non che tutto questo sia sbagliato di per sé. Ma dobbiamo pur riconoscere che troppo spesso ci lasciamo vincere dalla tentazione di interpretare, classificare, codificare prima ancora di lasciarci affascinare, travolgere da quelle che sono le assolute peculiarità di ciascun bambino. E’ proprio quel modo di conquistare la nostra attenzione, di farla sintonizzare su taluni aspetti e non su altri, di tessere la trama della nostra storia di relazione a costituire l’unicità del bambino.

L’immersione nella società globale ci sta distogliendo da questa concezione di unicità (Nuzzaci, 2008). Da un lato la cultura del globale propenderebbe per una omogeneizzazione, per un’equa diffusione di competenze di base; dall’altro, ci stiamo rendendo sempre più conto di come essa, in realtà, stia creando un insanabile spartiacque tra chi può e chi non può avere accesso alle stesse opportunità. Non solo. Essa crea un oggettivo ostacolo allo sviluppo di quell’ unicità che rende ciascuno titolare di diritti e di bisogni non globali, ma soggettivi e che, come tali, conferiscono un accesso diversificato alle risorse (economiche, sociali, culturali). In altre parole: che senso ha decretare un libero accesso alle risorse per consentire il pieno sviluppo delle potenzialità individuali se poi, nei fatti, ognuno non può aspirare a più di quel che gli è consentito ottenere? E questo non vale solo per i Paesi caratterizzati da arretratezza; vale anche per i Paesi economicamente e socialmente evoluti che, però, continuano a negare ogni giorno quell’unicità che permetterebbe a chiunque, in particolare ai bambini, promessa dell’umanità in divenire, di andare più lontano, di spingersi oltre (Limone, 2007). Trent’anni di diritti per l’infanzia ci permettono oggi di affermare che la società globale è per tutti, ma non per ciascuno.

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