gli anni in tasca

 Regia: Francois Truffaut

Genere: Commedia

Tipologia: Violenza familiare, Il mondo della scuola, Disagio minorile

Interpreti: Nicole Felix, Chantal Mercier, Jean-François Stevenin, Philippe Goldman, Georges Desmouceaux, Sylvie Grezel

Origine: Francia

Anno: 1976

Trama: Ad anno ormai inoltrato, il dirigente scolastico dell’Istituto Scolastico Comprensivo di un piccolo villaggio francese, Thiers, accompagna nella classe di media inferiore dell’insegnante Jean-François Richet un nuovo alunno, Julien Leclou, rifiutato dall’altra insegnante Chantal Petit perché indietro con il programma. Richet, a differenza della sua collega Chantal delle elementari, rigida e tradizionale, è più aperto e comprensivo e riesce a prendere spunto da qualsiasi vicenda personale degli alunni, scolastica o del villaggio, anche se negativa, per svolgere le sue lezioni. Julien è un ragazzo gitano, misterioso e problematico. Vive di piccoli furti. In classe si addormenta facilmente e quando non dorme si distrae e si ribella. L’unico ragazzo a diventargli amico è il tredicenne Patrick che ha perso da piccolo la mamma e accudisce il padre disabile. Patrick ha anch’egli i suoi problemi. Si è invaghito della madre di uno dei suoi compagni e vive i suoi turbamenti adolescenziali quasi a voler sostituire con lei la figura materna che gli è venuta a mancare. Se alla fine del film, per Patrick s’intravede, durante il campo estivo, un avvio di «amore normale» con la cuginetta di Raoul, Martine, a cui ha dato un casto bacio, per Julie si prospetta un futuro ancora più problematico Durante la visita medica scolastica la dottoressa scopre tracce di sevizie e percosse perpetrate ai danni del ragazzo dalla mamma e dalla nonna. Le due donne vengono arrestate e condotte in carcere, mentre lui è affidato all’assistenza sociale. Altri episodi scolastici e di vita si mescolano e s’intrecciano con quelli di Julien e Patrick.  Sono episodi altrettanto seri e resi meno drammatici dalla vena ironica dell’autore. Episodi che rispecchiano quel tessuto sociale apparentemente normale, ma restio a dare la dovuta attenzione all’infanzia e pronto a maltrattare e trascurare i propri bambini e bambine come quello del piccolo Grègory che, lasciato solo in casa, cade fortunatamente incolume dalla finestra o di Sylvie che lasciata in castigo a casa chiede aiuto ai vicini con un megafono o quello dei fratelli Deluca, Mathieu e Frank, che radano a zero i capelli di Richard in cambio dei quattrini del parrucchiere ed, infine, di Oscar, il bambino figlio di una ragazza francese e di un soldato americano, che non sapendo quale lingua parlare finisce con l’esprimersi solo fischiando.

Recensione: L’attenzione che Truffaut ha dell’infanzia travagliata e maltrattata, già espressa nei suoi precedenti film e in quello che viene definito il suo capolavoro I quattrocento colpi, viene ancora una volta ribadito anticipando quei principi che gli artt. 19 “Gli  Stati parti… devono tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento…” e 28 “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione…” della Convenzione Onu del 1989 sui Diritti del fanciullo hanno formalmente sancito. L’argent de poche, secondo quanto ha rivelato lo stesso regista che ne ha scritto anche la sceneggiatura unitamente a Suzanne Schiffman, doveva essere una raccolta di novelle tratte da storie veramente accadute e, per evitare un film ad episodi, le ha raccontate coralmente ed intrecciate tra loro durante la fine di un anno scolastico nel villaggio di Thiers. Ha ricevuto l’ambito riconoscimento come miglior film straniero al Kansas City Film Critics Awards nel 1977. I veri protagonisti sono i bambini, in tutte le fasi della loro crescita, dalla prima infanzia alla preadolescenza, con le proprie caratteristiche. Liberi di esprimersi e felici di vivere quando non sono contaminati e limitati dagli adulti. Pronti a scontrarsi con la realtà che li circonda per conoscere ed imparare. Sono le due visioni della società e della scuola che fanno da sottofondo e che si scontrano: il dovere di educare, aiutare e proteggere e l’arroganza e presunzione di costringere senza rispettare la libertà e l’autonomia dimenticando che ciò che può essere inutile per gli adulti, è importante e vitale per i bambini e che, se negato, ne pregiudica la crescita e la felicità. «Perché», si chiede Truffaut, «nelle lotte che conducono gli uomini, i bambini sono così spesso dimenticati?» Egli stesso, da bambino, orfano di padre, non fu felicemente accolto dalla madre e dal patrigno e visse la sua infanzia e adolescenza con inquietudine fra trasgressioni, fughe, riformatorio e imparò a sue spese, il conflitto tra adolescenti e adulti, l’amore per la libertà, la paura della solitudine, l’angoscia per la costrizione, l’idea che la felicità è soltanto un effimero momento della vita. Pur tuttavia, in questo film, mostra di aver superato le sue inquietudini infantili e di narrare l’infanzia con grande ironia tanto da avvicinarlo all’ineguagliabile Jean Vigò di Zero in condotta senza, peraltro rinunciare alla sua visione dell’infanzia trasferendola, nel finale, alle parole di Trichet nel commiato alla classe e per rafforzare l’idea che la scuola (almeno un certo tipo di scuola) e la cultura continuano ad avere un ruolo fondamentale. Prendendo spunto dalla vicenda di Julien, così egli dice: «la vita è dura ma anche bella». E per spronarli a resistere alla sua durezza li invita a diventare forti, ma non duri e ricordare, sempre, che la cosa più importante della vita «è e deve essere l’amore … Il tempo passa presto, anche voi un giorno avrete dei bambini. Beh, spero che li amerete e che essi vi ricambino. A dire il vero vi ameranno se voi li amerete … perché la vita è fatta così, non si può fare a meno di amare e di essere amati».

A. C.

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