Ci sono voci che gravano sulla nostra coscienza come macigni sospesi in aria e trattenuti da fili invisibili. Sappiamo che prima o poi quei macigni crolleranno, ma non abbiamo la forza né il coraggio di spostarci. Le aquile sono animali diversi: possiedono le caratteristiche aggraziate di un uccello ed al contempo il ghigno e la determinazione dei più feroci predatori. E’ difficile amare le aquile. Ho visto una volta un uomo perdutamente innamorato della sua aquila. L’aveva addestrata. L’aveva addomesticata.

Erion è un minorenne Kosovaro, scappato dalla disperazione della sua terra e in cerca di documenti e permesso di soggiorno in Italia. Ha trovato rifugio in una comunità per minori stranieri non accompagnati a Trieste insieme ad altri compagni di sventura. Racconta in maniera cruda, nei fatti come nel linguaggio, la sua vita in bilico tra sofferenza, ingiustizia e voglia di rivalsa: i furti nei negozi, non certo per sopravvivere, ma per marcare un territorio ed essere di esempio agli immigrati più giovani. Anche se Erion non si sente un immigrato. Si sente come qualcuno al quale è stato portato via qualcosa e che con tutti i diritti lo reclama. Ogni parola è un pugno allo stomaco. Quando è venuto in Italia non era mai stato da un dentista, nel suo Paese quasi nessuno può permettersi di farsi curare un dente cariato, è troppo costoso. Si patisce il dolore, è normale. Quando ha varcato la soglia del confine italiano ha cominciato a lamentarsi a più non posso, come se il male fosse insopportabile. Glielo avevano insegnato in Kosovo, di lamentarsi, perché così sarebbe stato curato gratuitamente. Sale la rabbia, quella rabbia che ci hanno scientemente educato a covare nei confronti di chi viene ad usurpare un diritto acquisito. Perché dovremmo pagare una visita dentistica al primo kosovaro che si lamenta e che non ha nemmeno la decenza di autodefinirsi immigrato? Aveva fatto lo stesso il suo amico, che non vedeva bene, ed era riuscito a rimediare due occhiali nuovi di zecca. Duecentocinquanta euro. Un kosovaro li guadagna in due mesi, se possiede un buon impiego. Erion si reca, quando riesce a svegliarsi in tempo, al centro di formazione professionale più vicino alla sua comunità. Non gliene frega niente delle lezioni, in ogni caso non lo porteranno di certo al diploma, quello che è roba per italiani spocchiosi. Se si comporta bene e non manda a quel paese i professori gli daranno uno straccio di qualifica, che per rubare nei negozi nemmeno serve. Di nuovo la rabbia che sale. Se le nostre scuole in Italia fanno tanto schifo, perché non torna nella sua di scuola, in Kosovo? Erion ci andava a scuola in Kosovo, ogni mattina. E’ lì che è morto suo fratello. Il suo gemello. Erion non ha la fidanzata, non serve. In Italia le ragazze sono decisamente più libere e disinibite. Non occorre fidanzarsi con una ragazza per andarci a letto. Bastano poche moine, promesse presto fatte e presto dimenticate, una notte di luna piena e il gioco è fatto. Al suo Paese non è così. Se metti nei guai una ragazza e la disonori, i suoi parenti ti fanno rimpiangere di essere nato. Meglio venire qui in Italia a divertirsi. Altra pugnalata. Ma come si permette di venire in casa nostra a sputare parole irripetibili sulle nostre donne? Perché non rimane in Kosovo a fare il brillante con le figlie dei kosovari giustizieri della notte? Per fortuna è in comunità. Almeno lì non si può permettere di fare il galantuomo. Se solo ci prova con una delle educatrici o assistenti della comunità lo mettono a posto subito. O forse no. Forse no. Altrimenti Milena, giovane assistente convinta della sua professionalità, non accetterebbe di farsi spegnere i bollenti spiriti da un minore kosovaro. Felice di averla fatta sua preda, certo. Ma nell’anima profondamente ingannato. Ogni moneta ha due facce, ogni fiume non scorre due volte nello stesso letto. Per questo dobbiamo ricordarci due cose della vita: che è importante vedere le cose sempre da prospettive diverse e che essa, spesso, rappresenta una lunga concatenazione di occasioni perdute. Non tutti i viaggi sono felici. Non tutti i viaggi interiori sono virtuosi. La vita va attraversata, anche nella sua crudezza. I soldati serbi hanno distrutto la prima casa di Erion, dato fuoco ad un intero villaggio, violentato le donne per seminare una stirpe di serbi autentica, e non di albanesi bastardi, ucciso uomini e bambini anche in fasce. Storie come queste non si dimenticano. Bruciano nelle tenebre, tengono sveglia un’anima di giorno e di notte. Innescano un senso di ingiustizia e di rivalsa che non va accettata, ma capita, compresa nella sua profondità. Altrimenti il diverso resterà sempre sbagliato. E di sbagliato c’è prima di tutto l’ingiustizia di un mondo che ci vuole gli uni schiavi degli altri. Così, quello che per noi è diventato ormai scontato, quasi superfluo, qualcun altro lo deve rubare. Risvegliando un senso di attaccamento da parte di chi si sente derubato che non è autentico, non è reale. Se capissimo il valore autentico di ciò che siamo, la grande ricchezza che risiede nella diversità e nella sua prerogativa di abitare il mondo, non considereremmo gli altri diversi e quindi inferiori. Riconosceremmo alle aquile il loro diritto  essere predatrici e ammireremmo la loro determinazione ed attaccamento alla vita, in una foresta di insidie che rende in ogni minuto precaria la loro esistenza. Se davvero capissimo il valore di ciò che ci è concesso avere, daremmo la nostra vita perché fosse concesso a tutti coloro che, come noi, ne hanno il diritto. Non perché sono italiani. Perché sono esseri umani.

Tags: