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Buongiorno a tutti, mi chiamo Elvira Battista, sono una psicologa, lavoro in Molise da diversi anni e in questa città ho costituito un’associazione di volontariato che si chiama “Aladino”, insieme ad una collega Marilena Guarracino. Ho lavorato per alcune comunità di minori qui in Molise, aiutando i bambini, attraverso il disegno, a pensare, ripensare alla loro storia, oggi lavoro per una comunità per minori: “Il Piccolo Principe” sita in un piccolo paese a 18 Km. da Campobasso che si chiama Limosano. Da quando ho iniziato ad oggi, per me, il lavoro con i bambini attraverso il disegno è molto cambiato, dopo una formazione in psicoterapia infantile che mi ha insegnato a leggere i vissuti dei bambini attraverso il disegno, ho ripensato a questa modalità a mio parere un po’ invasiva, liberandomi di molti concetti che all’epoca mi condizionavano.

Quando chiedevo a un bambino ospite di una comunità cosa doveva disegnare, sentivo di non riuscire a stabilire una vera relazione, perché notavo il suo disappunto e spesso infatti si rifiutava di farlo, volendo disegnare ciò che più gli piaceva. Ho iniziato così a capire che avrei dovuto lasciare liberi questi bambini di usare i colori come loro volevano, pensando che io stessa dipingo da sempre, da quando ero piccola con la stessa libertà che avrei dovuto dare a loro. Mi sono liberata così anche delle scrivanie, portando i miei cavalletti o apponendo vicino al muro dei pezzi di compensato per farli dipingere in piedi su di un foglio attaccato al muro, liberi quindi anche fisicamente. Da allora il nostro rapporto cambiò, osservavo la felicità nei loro occhi, la gioia di vedermi e i loro racconti cominciarono a fluire senza sosta, io ho smesso di chiedere. In una delle comunità per la quale ho lavorato, ho avuto a mia disposizione una stanza intera, ed è stato lì che ho pensato di far dipingere tutti i bambini insieme attaccando più compensato alle pareti, ma questo non mi bastava, volevo che i bambini della comunità dipingessero insieme a tutti i bambini della città. Ho capito di poterlo fare quando ho scoperto i laboratori di Arno Stern, il quale con la stessa filosofia che io stavo faticosamente costruendo: da anni aveva elaborato una stanza per il suo laboratorio di Parigi, una stanza senza finestre, interamente rivestita di compensato sul quale attaccava i fogli con delle punesse e i bambini in particolare, ma chiunque, poteva dipingere liberamente senza ricevere nessuno giudizio. So bene che quando parlo di laboratorio espressivo tutti pensano all’arte, forse qualcuno pensa che io insegni arte, in verità considero il laboratorio e l’espressione dei colori molto lontano dall’arte, così come la possiamo intendere tutti noi. Ho voluto farvi vedere il video e seguiranno le immagini del laboratorio, perché parlarne è comunque riduttivo, vederlo e meglio ancora viverlo, è davvero importante per comprenderlo fino in fondo. Il laboratorio è uno spazio chiuso, uno spazio senza tempo, nel quale potersi esprimere senza subire giudizi, suggerimenti o mandati. Una stanza dedicata, nella quale scegliere i propri colori attraverso una tavolozza di legno posta al centro, come luogo di incontro di chi sceglie liberamente il colore che sente. Una stanza le cui pareti si colorano delle tracce di ognuno che si esprime senza parole ma che si sente libero se dire qualcosa o no, dove l’espressione, il nuovo linguaggio è il colore. Una stanza senza finestre al riparo da sguardi indiscreti, dove i bambini che vogliono dipingere possono sentirsi liberi di scegliere il posto che preferiscono, di scegliere i colori preferiti, di scegliere se raccontare o no. Si incontra il bambino e lo si accoglie lontano da tutti, ma che proprio per questo protegge, accoglie e libera paradossalmente la mente creativa dei bambini che lo frequentano, libera le loro emozioni, le loro paure, che lasciate sul foglio perdono la loro efficacia. Nel laboratorio il mio ruolo diventa quello di proteggere i bambini nel silenzio, con la presenza del gruppo di gioco tutti vengono accolti per come sono, senza nessuna distinzione, senza parole, li accolgo servendoli in un tacito scambio di gesti e carezze, delicatamente come solo un bambino sa essere. Questo gioco senza tempo, infinito e silenzioso, libera la propria autonomia, protegge dalle pressioni esterne, libera le proprie emozioni e tutto questo rende i bambini più sicuri, una sicurezza che una volta consolidata farà per sempre parte di loro. Sembra tutto molto semplice ma non lo è, alcuni credono che essere liberi significa fare tutto ciò che si vuole, ma non è così, scoprono pian piano il piacere di essere serviti allontanandosi dalle cattivi abitudini che lo inducono a lavorare di corsa per stupire, per compiacere altri, ma è proprio questo il principio dell’insicurezza, fare ciò che fa piacere ad altri significa allontanarsi da se stessi e sentire il giudizio e sentirsi corretti nell’espressione fin dalle scuole materne, vuol dire crescere nell’insicurezza soprattutto nei bambini più timidi e più lenti che non riesco a stare al passo di ciò che gli si chiede. Il lavoro del laboratorio mi ha permesso di assistere invece, alla ripresa di tutti i bambini in difficoltà che grazie alla possibilità di esprimersi senza essere interrotti da ciò che secondo altri, non va bene, possono credere in loro stessi riprendendo così fiducia e sicurezza, emozioni che poi si porteranno ovunque migliorando in tutto ciò che fanno. Poi ho voluto sperimentare il laboratorio all’aperto, costruendolo viaggiante così come vedete nelle foto, è ogni volta una bellissima esperienza perché mi permette di spiegare i principi di questo modo di dipingere a tutti quelli che lo sperimentano, anche adulti quindi. Ma ho avuto anche dimostrazione di quanto questi adulti condizionino i loro figli, dicendo apertamente ad esempio, vicino al bambino mentre questi dipinge, di non usare il nero, tentando anche di impedirglielo, mostrando apertamente il loro dissenso o suggerendo cosa devono disegnare. I bambini assecondano il desiderio dell’adulto, allontanandosi da ciò che sente, cerca quindi di accontentare il genitore, o la maestra dipingendo ciò che non è suo. Ho cercato di portare il laboratorio anche nelle scuole, ma non ci sono mai riuscita perché mi rispondevano sempre che i bambini disegnano molto nelle scuole e che a fine anno la scuola organizza anche una bella  mostra con tanto di premiazione per il disegno più bello, cosa che trovo molto diseducativo, una pratica del genere aumenta la competizione e soprattutto il senso di inadeguatezza di chi è meno bravo, meno capace. Una bella esperienza però è stata possibile in una scuola materna, il laboratorio è durato quattro anni ed è stato gestito dalla collega Marilena. I bambini iscritti avevano 4 o 5 anni, erano sempre molto numerosi e li organizzavamo in gruppi al massimo di 10, il laboratorio era stato allestito in un’aula all’ultimo piano della scuola, utilizzato solo per attività e progetti proposti da insegnanti privati o associazioni come nel nostro caso. Le regole atte a tutelare il rispetto dello spazio vitale necessario a ognuno di loro per potersi esprimere con serenità, sono state costruite insieme ai bambini, le abbiamo sintetizzate in 4 vignette riportate su altrettanti cartoncini plastificati e appesi da loro stessi su una parete del loro laboratorio. I bambini a scuola sono abituati a essere divisi per età e quindi è stato molto difficile poter fare gruppi di età diverse senza farli sentire mortificati o in punizione, soprattutto se erano i più grandi a essere messi con i più piccoli. Un’altra difficoltà da superare è stata quella di far comprendere che il laboratorio non è un luogo dove i bambini vengono a “sfogarsi” agendo in totale assenza di regole. I bambini sentono subito di essere accolti e rispettati tutti e quindi dopo pochissimi incontri sono sereni e sono loro stessi a tutelare lo spazio del laboratorio con i suoi essenziali strumenti. È grazie, all’assenza di giudizio e competizione che si realizza nel laboratorio un ascolto empatico, che consente anche al bambino più timido o insicuro di sentirsi a casa in quello spazio. Abbiamo avuto qualche bambino che in classe si isolava completamente, giocando da solo in un angolo. Invece nel laboratorio nel giro di poche settimane è entrato e ha preso possesso del suo spazio con gioia e pian piano si è inserito anche nel gruppo classe. Nel laboratorio ogni bambino perde la sua etichetta di bambino cattivo o iperattivo o timido e acquista fiducia in se stesso e autostima. In un primo momento reagiscono con insofferenza se un compagno realizza un disegno simile al loro, dicono con rabbia: “mi ha copiato” perché sono abituati a considerare il “copiare” come un’offesa al loro lavoro, ma poi comprendono che l’imitazione è un gesto di condivisione, amicizia e collaborazione, demonizzata nella scuola e poi richiesta in ambito lavorativo nello sviluppo della Ricerca. Nella comunità dove lavoro invece, abbiamo aperto in un locale adiacente, un laboratorio per i bambini della comunità e per tutti quelli del paese di Limosano che ci ospita da 6 anni, un lavoro di integrazione quindi molto utile perché rafforza i rapporti e rende tutti uguali. Per lavoro io sono un ispettore dell’ Inail, un ente che si occupa di infortuni sul lavoro ed io in particolare intervengo quando a causa del lavoro, accade un incidente mortale, sono molte le persone che andando a lavoro purtroppo non tornano a casa lasciando figli e moglie, la maggior parte infatti a perdere la vita sono i padri. State forse pensando cosa centra questo con i laboratori? Assistendo all’incapacità di queste madri a gestire questo drammatico evento con i propri figli e sentendomi spesso chiedere da parte loro, come dare la notizia ai bambini ai quali nel frattempo è stata detta una bugia, ho avuto l’idea di scrivere un progetto per far frequentare il laboratorio agli orfani di caduti sul lavoro insieme al genitore superstite. Il lavoro è stato molto utile perché attraverso questa tecnica i bambini sono riusciti ad esprimere le loro difficoltà, in una situazione che non comprendevano, e a permettere alla loro madre a dire ciò che era successo, a dire la verità. Un bambino sente un forte tradimento quando l’adulto gli vieta l’accesso alla verità, compromettendo così l’unico rapporto rimasto. Grazie alla professoressa Bastianoni, ho potuto descrivere questa bellissima esperienza, che oggi anche senza il progetto ho voluto far continuare a queste famiglie sfortunate, nel libro “Dialoghi Ininterrotti: dall’educazione alla morte al sostegno nel dolore della perdita”. Come vedete sono molte le applicazioni possibili di questa forma di educazione alla libertà, magari a qualcuno di voi arriverà un’altra idea……..