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Come funziona esattamente la piattaforma del master? Quali servizi offre?

Da questa settimana saranno pubblicati una serie di articoli dedicati al funzionamento di specifiche sezioni della piattaforma che illustreranno in maniera più dettagliata cosa accade quotidianamente all’interno della nostra “aula virtuale”


Il master “Tutela, diritti e protezione dei minori” è partito da poco più di una settimana, con  grande entusiasmo e con la determinazione a intraprendere  insieme, corsist* e docenti,  un percorso formativo costruttivo, partecipato, condiviso.

Ma come si sviluppa fattivamente tale percorso?

Com’ è strutturata la dimensione virtuale della formazione a distanza?

Come si presenta la piattaforma?

La piattaforma è lo spazio virtuale in cui il Master vive, prende forma, si connota e si arricchisce grazie ai contributi e alla partecipazione di docenti e studenti. In questa aula comune ed accessibile a tutt* gli/le iscritt*, è possibile non solo visionare le videolezioni, ma avere accesso ad una ampia gamma di informazioni relative ai minori e alla tutela dei loro diritti evolutivi, sociali, psicologici, educativi, guridici,  postate e  commentate da docenti esperti e secondo il loro specifico professionale, all’interno di sezioni specifiche

Presentiamo oggi una di queste sezioni: la  Bacheca 2016 dedicata alla raccolta di news, informazioni e articoli  relativi a tematiche inerenti  la  tutela e la protezione dei minori.

All’ interno della bacheca vengono segnalati,con continuità e regolarità, articoli di attualità, frutto di un accurato e articolato lavoro di ricerca, raccolta e selezione del materiale.
Un lavoro portato avanti con costanza e serietà nella convizione che la diffusione di una cultura dell’infanzia condivisa passi anche attraverso un aggiornamento continuo, da valorizzare e utilizzare come valido spunto di riflessione su alcune tematiche di interesse.

Riflettere criticamente e confrontarsi in maniera costruttiva su alcune notizie in particolare consente  di co-costruire il percorso di formazione “comune” che da sempre contraddistingue  il master.

All’interno della bacheca può essere presentato  un articolo specifico, commentato in maniera ampia e articolata, o possono essere postati, corredati da un commento, più articoli che trattano una tematica comune osservata e descritta da diversi  punti di vista.

A titolo esemplificativo, riportiamo un’attenta riflessione  della prof.ssa MariaTeresa Pedrocco Biancardi a commento di un recente articolo del Corriere della Sera “Noi, genitori di tiranni”, e un post in cui vengono segnalati più articoli sul tema “Scienza e bambin* “, proprio come lo trovereste entrando in piattaforma!

Alla prossima con la presentazione di una nuova sezione!

Dalla Bacheca 2016 Noi, genitori di tiranni!( post del 14 aprile 2016 a cura della prof.ssa MariaTeresa Pedrocco Biancardi”Francesco Montecchi, neuropsichiatra, primario (all’epoca) del Reparto di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma e ideatore del Progetto Girasole per la prevenzione e la cura del maltrattamento all’infanzia, oltre che autore di numerosi studi sul tema, nel 2005 pubblicava il libro “Dal bambino minaccioso al bambino minacciato”, un titolo che richiama il problema presentato nell’articolo “Noi genitori di tiranni. Padri e madri vittime di bambini che li sfidano”, di Stefano Montefiori (Corriere della sera, 21.02.16, p.28) [Scarica l’articolo: noi genitori di tiranni].I due titoli rappresentano un totale rovesciamento di situazione: nello spazio di un decennio: i genitori sono passati da maltrattanti a vittime maltrattate dai figli.

Nel 2005 Montecchi dedicava più di 200 pagine ai genitori per aiutarli a comprendere le conseguenze di un’educazione violenta e trascurante in mille diverse occasioni, nel 2015 in Francia, a Montpellier, un ospedale soccorre i genitori vittime della violenza dei loro piccoli figli.

Iniziamo dal “tiranno”

I genitori, e il giornalista che in qualche modo si mostra comprensivo, sembra porsi dalla loro parte, hanno ragione: il bambino è un tiranno, ma inizia a esserlo molto prima dei cinque anni, addirittura dal primo respiro che, manco a dirlo, nelle situazioni ottimali è un urlo. Un urlo che si ripeterà sempre più gagliardo e prepotente nei giorni e nelle settimane successive, perché è l’unica modalità di comunicazione/espressione che è in grado di adottare per chiedere attenzione alle sue necessità di sopravvivenza.

Ma poi, già a partire dal primo mese, il pianto si attenuerà, sostituito da lunghe ore di sonno sereno, riuscirà pian piano a comunicare il proprio stato di benessere con piccoli tentativi di sorriso, la comunicazione inizierà a riempirsi di messaggi di felicità con brevi gridolini di piacere, poi darà segnali di accoglienza allungando le braccia all’arrivo della mamma, e gli occhi parleranno per lui.

Ci saranno ancora pianti per le difficoltà digestive, per il pasto ritardato, per le contrazioni viscerali, ma troverà conforto e sicurezza da un viso – che ogni giorno riuscirà a individuare e poi riconoscere meglio – sorridente e premuroso, che si chinerà verso il suo, da due braccia che lo sollevano, da una voce dolce che comunica suoni rassicuranti, e via sperimentando progressivamente un’atmosfera consolatoria e presenze protettive.

Così le sensazioni dolorose si alterneranno a emozioni piacevoli e la positività delle seconde prevarrà sulla negatività delle prime, iniziando ad alimentare il suo embrionale cervello emotivo (da non molto tempo gli studi sull’organizzazione del nostro sistema cerebrale hanno consentito di individuare un’area specifica preposta al recepimento e all’elaborazione delle emozioni, sia positive che negative) di emozioni benefiche, capaci di porre le prime fragilissime basi di una personalità orientata all’ottimismo.

Di questo passo, a cinque anni se una pietanza non gli piacerà riuscirà a dirlo, magari con il viso offeso o accompagnando il rifiuto con la richiesta di un’altra pietanza, e se proprio vorrà il coltello del fratello maggiore dirà: “Lo voglio anch’io”, magari senza “per piacere” e con qualche inflessione prepotente, ma senza minacciare ne’ tanto meno realizzare “stragi” e senza compromettere più di tanto l’atmosfera della situazione, perché otterrà risposte ferme e decisive ma espresse con cordialità, autoironia, soprattutto empatia.

E le “vittime”?

Non se ne ricordano, ma la loro vittimizzazione viene da lontano.

Quanto più hanno avuto un’infanzia infelice (anche senza veri e propri maltrattamenti, ma connotata da una certa trascuratezza: giudizi negativi espressi con superficialità, distrazione incolpevole di genitori poco impegnati nella costruzione della sua autostima o freddi, poco propensi ad ascoltare, lodare, accarezzare, consolare, incoraggiare) tanto più hanno sognato, durante l’attesa, un’esperienza genitoriale favolosa, a colori tenui, a voci soffuse, tutta moine e sorrisi. E l’impatto con la realtà, qualche volta a partire dal primo urlo, assume contorni traumatici, risveglia confusi e sfuggenti ricordi di immagini e parole che nulla hanno a che fare con i sogni dell’attesa.

Può accadere che la mamma sia sola, senza un compagno “presente” con cui condividere pensieri, dubbi, timori, incertezze, o addirittura del tutto assente anche dal punto di vista fisico; oppure è molto giovane e deve necessariamente appoggiarsi alla famiglia di origine, nella quale si è ripetutamente sentita dire che non ha lasciato dormire i genitori per tutto il primo anno di vita, che il fratello maggiore rispetto a lei era un angelo e via mortificando; o peggio ancora l’evento ha costretto la donna a convivere con la famiglia dei suoceri; oppure la gravidanza, non prevista, l’ha indotta a lasciare un lavoro promettente e gratificante; tutte situazioni possibili, che si verificano non raramente nella vita reale. E non appaiono nemmeno particolarmente tragiche a chi le guarda dall’esterno.

Le amiche possono addirittura dire alla giovane mamma che è fortunata, ma lei prova un’indicibile insoddisfazione, un’ansia da prestazione quando deve allattare o cambiare il bambino, una spinta depressiva quando lo sente piangere, non riesce a manifestare nei suoi confronti quello calma attenta, quell’affetto gioioso, tutta quella serie di messaggi che vengono trasmessi anche senza parole, con le sole espressioni del viso, quel linguaggio analogico che il neonato è in grado di percepire molto precocemente, molto prima di capire le parole, dal quale coglie benessere e protezione.

Il percorso dell’attaccamento

L’attaccamento madre-bambino inizia dal primo vagito e dalla risposta che la madre sarà in grado di dare (o meglio: dalle modalità con le quali la madre risponderà) alle sue prime richieste.

Bowlby (1989, Cortina) spiega molto bene questo percorso, che poi successivi studi approfondiranno specificando e categorizzando le diverse sintomatologie, anche attraverso specifiche prove comportamentali (strange situation, Crittenden e Ainsworth, Guerini, 2001,V).

In estrema sintesi il benessere che il bambino prova nel ricevere le cure che soddisfano i suoi bisogni fisiologici primari, è potenziato enormemente dalle modalità con cui gli vengono somministrate: un atteggiamento empatico, la puntualità, la continuità, la serenità del care giver costruisce un clima di fiducia rassicurante (la base sicura) che consente al bambino di costruire e rinforzare il legame primario che gli permetterà progressivamente di aprirsi a successivi legami, a partire dalla seconda figura genitoriale fino a quelle di tutti gli altri incontri successivi.

Questo benessere darà colore positivo ai modelli operativi interiorizzati, per mandare il bambino verso il mondo con fiducia e superare più facilmente le immancabili delusioni che la vita gli farà incontrare.

Questi bambini, allora, imparano a dar parole ai loro problemi e alle loro emozioni (Harris, Cortina, 1995,V), non hanno bisogno di mettere continuamente alla prova la pazienza dei genitori, non temono di essere meno amati dei fratelli, sono più disponibili a riconoscere gli errori, accettano più facilmente le correzioni, perché percepiscono intorno a sé un mondo benevolo.

“La cura delle infanzie infelici”

Questo è il titolo che lo psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini ha dato a un suo studio pubblicato nel 2012: le infanzie infelici di cui l’autore descrive la sintomatologia e i percorsi diagnostici e terapeutici adeguati, sono quelle dei genitori dei numerosissimi bambini maltrattati e degli adolescenti disturbati/trasgressivi.

Non sempre è necessaria la terapia psicologica, spesso sarebbe sufficiente assicurare ai giovani genitori, o almeno alle mamme, un “sostegno terapeutico”, cioè un accompagnamento nei primi tempi della vita del figlio (specie il primo, specie se la mamma è sola) che aiuti non solo a comprendere il sistema di comunicazione del neonato ma anche a prendersi cura di lui a prescindere dalle proprie esperienze personali.

La mamma è aiutata a liberarsi da “Ricordi delle antiche violenze” (Pope e Brown, McGraw-Hill, 1999) per concentrarsi sulla persona del figlio, riconoscendo e godendo i segni rivelatori che quotidianamente esprimono la sua personalità in corso di sviluppo.

Con questo sostegno, che tra l’altro costituisce un modulo didattico del nostro master a distanza, mamma e bambino possono imparare a consolarsi reciprocamente delle fatiche che entrambi devono sostenere per sviluppare rispettivamente l’una la propria genitorialità e l’altro la propria fiducia nella vita.

Il risultato è quello di evitare in famiglia la presenza di tiranni e di vittime,  lo stesso obiettivo che si pone l’Ospedale di Montpellier, anticipandolo e trasformandolo però in attività di prevenzione.”

MariaTeresa Pedrocco Biancardi

Un salto in bacheca

Ecco come appare invece un post in bacheca!

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