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Dopo l’ inaugurazione del Tour “Porte aperte in comunità“, in occasione del Seminario “Progettare una comunità educante”a Latiano, e la visita alla Comunità Villa Flora, il nostro viaggio all’interno delle comunità per minori italiane, alla scoperta e documentazione di buone prassi da condividere, continua! Il 23 Novembre la Comunità la Valle dei fiori di Roma ha aperto le porte al tour: grazie alla grande accoglienza e collaborazione dell’equipe, è stato possibile realizzare alcune videointerviste che raccontano la storia e il modus operandi di questa comunità per minori.

Di chi si occupa Valle dei fiori

“Valle dei fiori” , una onlus situata in un quartiere centrale di Roma, si occupa, attraverso la presa in carico residenziale dei minori presso la comunità, di bambini e bambine nella fascia 0/6 anni fuori famiglia, e di supporto alle famiglie fragili presenti sul territorio, sia attraverso l’attivazione di risorse volte a rispondere ad alcune delle loro esigenze primarie (un piccolo vitto) che attraverso la gestione di un asilo auto-organizzato per 25 minori (4 mesi- 6 anni), nato proprio con l’obiettivo di sollevare i genitori dall’ impegno quotidiano di cura dei figli e di ridimensionare o evitare cosi l’insorgenza di fattori stressanti precipitanti, secondo una logica preventiva del disagio. Il sostegno alla genitorialità si articola inoltre attraverso interventi triadici nell ’ambito degli incontri protetti tra i minori allontanati, i genitori o prossimi familiari, ed educatori/terapeuti della struttura, nell ’ottica del rinforzo della relazione adulto-bambino, anche grazie all’ attivazione di supporti terapeutici indirizzati agli adulti (Ser.d/t.; Ausl etc.), parallelamente al lavoro riparativo con i minori presenti in struttura. Le attività quotidiane sono svolte da una equipe multiprofessionale, coadiuvate da figure volontarie di estrazione religiosa, le quali seguono fin dalla nascita la genesi storica del centro, sulla base di un ideale sociale che ha animato queste persone nel sostenere ininterrottamente i minori a rischio e i genitori in condizioni di vulnerabilità e di disagio.

La storia

Valle dei Fiori nasce negli anni ’90, su richiesta delle famiglie del territorio, ad opera dell’associazione Mariana, poi denominata “Gioventù Mariana”, già attiva e conosciuta per il sostegno ai nuclei vulnerabili; nel corso dei primi anni, l’associazione ha operato sul territorio in assenza di una sede specificamente preposta allo svolgimento delle attività in supporto alle famiglie presenti; negli anni ’90, in seguito alle varie richieste del personale e mediante un’assegnazione, l’associazione ha ottenuto un immobile, privo, tuttavia, delle strutture basilari e necessarie per le condizioni di abitabilità. Grazie alle donazioni e alla sinergia del lavoro tra i contributi dei volontari e il coinvolgimento attivo dei genitori, il centro ha iniziato progressivamente a munirsi della logistica e delle condizioni strutturali necessarie per la gestione di un centro diurno e poi residenziale per i minori, le cui prime progettualità di supporto alla genitorialità, effettuate con il Municipio, risalgono a quegli anni. Incominciano in questo modo a gettarsi le basi concrete per l’avvio dei primi percorsi di sostegno agli abitanti del quartiere – che iniziarono cosi a sperimentare una “realtà diversa” all’interno di un territorio “dispersivo e lacunoso”- e a consolidarsi le radici dell’approccio che contraddistingue il supporto alla genitorialità operato dall’equipe dei Valle dei fiori, connotato dalla valorizzazione del ruolo attivo dei genitori nel contesto di intervento predisposto al loro aiuto.

Filosofia dell’intervento a supporto della genitorialità

La co-costruzione dell’aiuto e il principio dell’accoglienza dell’altro sono gli elementi fondanti gli interventi di supporto alla genitorialità. Spiega la responsabile della Comunità, la dott.ssa Patrizia Barbalucca: “Il nostro sostegno è sì completamente gratuito, ma anche i genitori dovevano fare la loro parte; noi li aiutiamo nelle cure primarie e nell’accudimento dei bambini, ma con lo scopo fondamentale che loro imparino a curare e a curarsi. La carità ci spinge verso l’altro, ma l’altro cura se stesso”. Fin dall’implementazione delle prime attività di supporto alla genitorialità, gli interventi, dunque, si sono contraddistinti per il valore della gratuità non caritatevole e per il criterio dello “scambio”, due aspetti che proiettano la concezione dell’aiuto oltre l’approccio di tipo assistenziale. Il prerequisito fondante la gratuità dell’aiuto non si inscrive dunque nell’ ottica caritatevole secondo un presupposto di intervento di matrice assistenzialistica e istituzionale che attribuisce a chi necessita dell’aiuto il ruolo di destinatario passivo dell’intervento erogato/fruito in maniera unidirezionale; al contrario, il supporto alla genitorialità si è connotato, e tuttora si contraddistingue, per la partecipazione attiva dei genitori alla realizzazione concreta e simbolica del centro e della co-costruzione dell’intervento, impostando la logica educativa dell’aiuto sull’ idea dello “scambio”. Tale matrice rappresenta ancora oggi il caposaldo delle attività svolte.

I criteri e le modalità di accesso a Villa dei fiori

L’accesso a Valle dei fiori avviene attraverso una modalità libera e volontaria su richiesta diretta dei genitori del territorio; su segnalazione dei servizi sociali della municipalità; su richiesta del consultorio o infine con decreto del Tribunale. La richiesta di accesso da parte dei genitori al centro diurno, che ha assunto nel tempo una buona notorietà a livello territoriale grazie ad un rapporto diretto con le famiglie, si colloca in periodi concomitanti all’apertura delle iscrizioni, in seguito all’espletamento del bando previsto dal progetto (nato negli anni ’90 con la L.285 della Cabina di regia), finanziato dal servizio di appartenenza e rinnovato annualmente dal centro. In questi casi, la presa in carico dei minori presso il centro diurno avviene sulla base della condivisione tra famiglie e educatori rispetto ai motivi per cui i genitori fanno esplicita richiesta di scrizione; i criteri di accesso privilegiano le famiglie in condizioni di povertà (ISEE inferiore ad un tetto di 5.000 euro). La seconda modalità di accesso ormai consolidata al centro diurno viene effettuata tramite richiesta del servizio sociale; attraverso questa modalità solitamente giungono al centro famiglie che presentano problematicità multiple; in questi casi la collaborazione tra operatori del centro e dei servizi si caratterizza per la condivisione del monitoraggio della famiglia attraverso l’elaborazione trimestrale di relazioni stilate sulla base di quanto osservato nel tempo. Dal consultorio invece vengono inviate famiglie spesso monoparentali o costituite da giovani coppie. Su decreto del tribunale invece, si predispongono, oltre ai percorsi di tutela, le modalità e i tempi degli incontri protetti.

I servizi di sollievo offerti dalla struttura “bambino – famiglie fragili”: l’accoglienza

Il servizio di sollievo alla genitorialità è aperto alle famiglie per 12 mesi l’anno (nel periodo estivo le attività si svolgono presso una località balneare) dal lunedì al sabato, si realizza attraverso la partecipazione dei bambini ad un “asilo auto-organizzato” e si rivolge a famiglie vulnerabili con minori a carico che rientrano nella fascia primaria 4 mesi-6 anni. Il sollievo genitoriale si contraddistingue per la centralità dell’accoglienza delle esigenze presentate dalle famiglie: nei casi in cui la richiesta di attivazione del sevizio provenga dal servizio sociale del municipio e sulla base di un preciso progetto che, tuttavia, non riesce a rispondere in maniera adeguata a tutte le esigenze presentate dalla famiglia, gli operatori del servizio si adoperano per fare in modo che il bambino di quel nucleo possa usufruire del supporto per un tempo aggiuntivo, oltre, dunque, l’orario prestabilito e generalmente caratterizzato dalla rotazione su turni dei bambini in fasce orarie giornaliere (mattina e pomeriggio). Il servizio di sollievo genitoriale nasce con la finalità di supportare le famiglie presenti sul territorio, sia per prevenire l’istituzionalizzazione dei minori che per permettere ai genitori di essere una “risorsa produttiva nella società”, attivando risorse per la riduzione dei fattori di stress che potrebbero compromettere il loro inserimento sociale, la stabilità lavorativa o economica, la tenuta motivazionale, ovvero tutti quegli elementi che si riflettono complessivamente sul piano relazionale e della vita quotidiana in cui il minore cresce. Il servizio è dunque una risorsa territoriale che nasce con lo scopo di sostenere le esigenze delle famiglie, per “offrire ai genitori la possibilità di inserirsi” nel mondo lavorativo e sociale, prevenendo le cause dell’allontanamento dei minori, sia compensando l’inefficienza o l’inadeguatezza genitoriale momentanea che offrendo alle famiglie le risorse disponibili (vitto alimenti, abiti, etc.), alcune delle quali vengono incrementate anche dal contributo dell’associazione “Sempre insieme per la pace” e dei volontari. Le attività deputate al sollievo genitoriale sono condotte dagli educatori del centro, dagli psicologi, dal servizio civile e dai volontari, in maniera efficace e preventiva, al punto che, nel corso degli anni, i progetti di supporto avviati per alcuni casi a rischio, hanno evitato, grazie anche ad un buon lavoro di rete con ASL e servizio sociale, che il disagio si evolvesse in situazioni di pregiudizio tali da obbligare alla segnalazione all ’autorità giudiziaria.

Stare dalla parte del minore: tra affrancamento dalle ideologie e lo scotto dell’oggettività: intervento a cura di Simonetta Matone, direttore tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale per la famiglia.

Nel corso del nostro incontro è stato di particolare interesse ascoltare le parole della dott.ssa Simonetta Matone, intervenuta per testimoniare, sulla base dell’esperienza maturata in anni di lavoro ricoprendo diversi incarichi di governo presso la giurisdizione della Corte d’Appello del Lazio, le qualità del lavoro intrapreso dalla comunità, definita come “un’esperienza pilota”, entro un quadro regionale, proprio per l’approccio non ideologico al singolo bambino e realmente orientato a garantirne la centralità dei diritti: i bambini devono “essere cresciuti, educati e istruiti” presso una famiglia. Questa linea d’azione, tuttavia, è stata intrapresa senza soluzione di continuità dalla comunità a fronte delle ideologie di una politically correct volta a difendere ad oltranza i genitori, per cui “qualsiasi cosa si facesse ai bambini, o in virtù di una loro presunta differenza etnica -che non esiste (es. i nomadi)- venivano concesse condotte che agli italiani non sarebbero mai state permesse”, oppure, in virtù della pretese del diritto genitoriale, si permetteva che i minori passassero in secondo piano e a prescindere da ciò avessero subito, non si dichiarava lo stato di abbandono.” Gli operatori di Villa Aurelia, infatti, hanno sempre indirizzato i propri sforzi verso l’affermazione della centralità dei diritti dei minori, nel rispetto della genitorialità e contrastando ogni pretesa di affiliazione qualora l’ambiente familiare di provenienza del minore fosse stato considerato pregiudizievole. Continua la dott.ssa Matone: “In siffatto contesto la valutazione delle competenze genitoriali è oggettiva”, e tale atteggiamento di ostinata coerenza rispetto ai diritti dei minori a volte ha pagato un prezzo non irrilevante”, perché un “è atteggiamento disturbante”…ma io non mi sono mai trovata -in Tribunale- in contrasto con loro”. Per cui se “nell’ immediatezza di un fatto, di un dramma, dovessi suggerire al comune un luogo in cui collocare un/una minore, consiglierei questo posto”. Sebbene le origini religiose della comunità rappresentino in alcuni casi elementi pregiudizievoli, va espressamente rimarcato che l’approccio agli altri è laico e lontano da ogni forma di clericalismo; è una comunità accogliente, non spersonalizzata/spersonalizzante: le dimensioni ridotte degli spazi non rappresentano uno svantaggio, al contrario, ricreano una dimensione familiare all’ interno della quale i bambini e le bambine si sentono al sicuro, “in famiglia ”. Il personale è qualificato e rigorosamente scelto; i rapporti con le autorità giudiziarie non sono mai state facilitate in base alla condiscendenza di decisioni reputate come non idonee e non favorevoli per i minori dagli operatori della comunità; non è mai stato adottato un atteggiamento compiacente con istituzioni, autorità, famiglie, a discapito di una alleanza sana e protettiva con i minori. Nei processi di adozione e pre-adozione, qualora non prevalga la dimensione del primario interesse del minore, la comunità favorisce, attraverso l’attivazione di un sistema di “porte aperte”, la continuità dei rapporti tra il bambino e le persone di riferimento, salvaguardando la continuità dei rapporti affettivi e relazionali sviluppati dai minori durante il periodo di vita in comunità e ponendo attenzione specifica ai processi di integrazione, attraverso il coinvolgimento della famiglia adottiva, delle diverse esperienze pre e post adozione.

La presa in carico, l’accertamento del trauma e il rispetto dei tempi del minore

Con l’ingresso del minore in comunità le operatrici del centro (psicologhe ed educatrici/ore) cercano di rallentare o posticipare, qualora possibile e non strettamente necessario, i tempi di alcune procedure che coinvolgono il minore, quali ad esempio le visite sanitarie; il breve e lungo periodo si caratterizzano pertanto per il monitoraggio e l’osservazione costante del minore, del suo comportamento, del suo rapporto con i pari, stili alimentari, qualità del sonno, del gioco. Nella fase di accertamento del trauma, vengono garantiti ai minori ascolto e accoglienza, accompagnamento e sostegno nelle emozioni, che trovano diverse modalità espressive, legate all’ abuso, al maltrattamento, alla separazione; la narrazione, verbale o meno, del dolore, diventa occasione in cui sentirsi compresi e accolti, nella logica comunitaria ad approccio relazionale che mira al superamento di una mera rievocazione dei fatti in una dimensione di solitudine e rabbia. L’equipe di lavoro della Valle di fiori sa bene che le comunità per minori attente ai bisogni relazionali dei più piccoli ed in grado di tutelare i loro diritti evolutivi di protezione e sicurezza, non possono strutturarsi quali contesti affettivamente neutri: attuando tale principio,pertanto, si propone di realizzare esperienze concrete di cura ed affetto e di garantire esperienze di attaccamento tali che i bambini e le bambine accolt* possano affidarsi con sicurezza ad adulti responsivi e sensibili, disposti a creare legami nuovi, sani e sicuri. Nel corso del nostro incontro, due educatrici, insieme a tre dei/delle bambin* ospitat* attualmente in struttura- un bimbo di di 7 mesi, una bambina di 24 mesi e una di tre anni- hanno approfittato di uno dei nostri momenti di pausa per incontrarci. I risultati dell’approccio relazionale realizzato in comunità sono emersi in maniera evidente dalle reazioni dei/delle bambin* alla nostra presenza “estranea”: il piccolo, pur guardandosi incuriosito intorno e restando in braccio all’ educatrice, non era particolarmente turbato dalla comparsa di estranei; la piccola di 2 anni ha mostrato apprensione, aggrappandosi all’ educatrice, protestando quando è scesa dalle sua bracca e richiedendo con forza di essere nuovamente ripresa in braccio; la bambina di tre anni, dopo un iniziale momento di richiesta di rassicurazione e grazie alla mediazione dell’educatrice, è stata in grado di aprirsi e di interagire con noi in una piccola sequenza di gioco. Nei tre casi il comportamento di attaccamento manifestato risulta corrispondente alle specifiche tappe evolutive (7 mesi/24 mesi/36 mesi) e riflette nel contempo lo stato dei legami affettivi costruiti con le nuove figure di riferimento, che, alla luce dei comportamenti attivati dai piccoli, sembrano svolgere in maniera adeguata la funzione di base sicura. Uno dei punti di forza della comunità è, infine, la programmazione accurata delle attività quotidiane e di routine (risvegli, cura del corpo, pasti, gioco, addormentamento, incontri con i genitori/familiari) e delle attività esterne (vacanze, gite, uscite, visite, feste…) quali momenti di condivisione utili ad ampliare il campo di esperienza nel quale si concentrano le azioni educative volte a rendere più ricca e significativa la vita dei bambini e delle bambine, offrendo loro esperienze positive di confronto con l’interno e con l’esterno che consentano di scoprire nuovi interessi, di stimolare capacità e abilità, di creare nuovi legami.

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