Togliere lo zaino per cambiare. 

Una scuola ispirata a responsabilità, comunità, ospitalità

 

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Perché togliere lo zaino

In tutto il mondo gli studenti utilizzano lo zaino per  portare a scuola e riportare a casa il proprio materiale come libri, quaderni, penne, matite, gomme, forbici, squadre e righe, colori ecc.
La cosa per la verità è un po’ strana.  Nessuno si è mai domandato perché qualsiasi lavoratore trova i propri strumenti del mestiere sul posto di lavoro al contrario degli studenti.
In effetti lo zaino comunica un senso di precarietà e di inadeguatezza, non a caso è stato inventato – come si può facilmente dedurre da un qualsiasi vocabolario – per gli alpinisti e per i soldati con il chiaro scopo di affrontare luoghi inospitali.

Togliere lo zaino è  pertanto un gesto reale, infatti  gli studenti nelle scuole Senza Zaino sono dotati di una cartellina leggera per i compiti a casa, magari utilizzando anche i materiali messi a disposizione nella rete, mentre le aule e le scuole vengono arredate con mobili e materiali didattici avanzati.
Ma è anche un gesto simbolico in quanto vengono realizzate  pratiche e  metodologie innovative in relazione a tre valori:  responsabilità, comunità e ospitalità.

Si tratta pertanto di un modello diverso da quello tradizionale che è  impostato prevalentemente sull’insegnamento trasmissivo e  standardizzato impartito nei tipici ambienti definiti  cells & bells, unidimensionali, dove  aule spoglie sono ammobiliate con le consuete file di banchi posti di fronte ad una cattedra, cui fanno da riscontro vuoti e disadorni corridoi e in genere spazi connettivi.

La diffusione della rete Senza Zaino

L’esperienza Senza Zaino nasce nel 2002 a Lucca per poi diffondersi  in Toscana e nelle varie regioni d’Italia,  realizzando un’originale iniziativa che collega  ad oggi più di 50  istituti che raccolgono più di 100 scuole (plessi)  dando corpo ad un modello pedagogico condiviso che ha colto tutte le opportunità offerte dal regolamento sull’autonomia (DPR. n. 297 del 1999 in particolare gli articoli 6 e 7).  I riferimenti teorici per lo più sono quelli della psicologia e della pedagogia classica che SZ ha l’ambizione di voler tradurre in pratica.  Troppo spesso le suggestioni dei grandi autori, da Pestalozzi a Rousseau, da Dewey a Freinet e a Cousinet, da Steiner a Montessori, per arrivare fino a Bruner, Vygotskij, Gardner, Sternberg, tanto per citare solo alcuni riferimenti a cui teniamo, rimangono pochissimo praticati anche se molto declamati: uno degli sforzi di SZ è costituito proprio dal tentativo di passare dalle prediche alle pratiche.

 


M.Orsi

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