“Cara maestra, le scrivo questa mail per chiederle aiuto. La mia bambina piange ogni mattina, a scuola va tutto bene?”. “Cara maestra, avrei bisogno di fissare un appuntamento telefonico. Mio figlio si sveglia molto spesso durante la notte. Volevo sapere se a scuola fosse successo qualcosa”. “Cara maestra, sono preoccupata perché i miei figli hanno perso motivazione nei confronti della scuola. Fino a qualche mese fa, passavano tutti i pomeriggi a incollare, ritagliare, disegnare. Invece adesso se chiedo loro di fare insieme qualche attività simile a quelle che svolgete a scuola si rifiutano e dicono che non le vogliono fare. È normale secondo lei?”. No, cari genitori, non è normale, eppure allo stesso tempo devo dire che lo è. La scuola è una cosa seria. La scuola dell’infanzia è una cosa seria. Non è un piacevole passatempo per bimbi annoiati. Non è un comodo parcheggio per genitori che lavorano. Non è un luogo dove si possa pensare di procedere incessantemente avanti e poi tornare bruscamente indietro. La scuola dell’infanzia è viva. È fatta di persone, di relazioni, di parole, di sguardi. Su ognuno di questi, gli insegnanti, ma anche e soprattutto i bambini, investono. Perdere un mese di scuola è come nuotare a mani nude in mezzo all’oceano. Scompaiono gli sguardi che rassicurano, le mani che sostengono, i disegni che parlano, i luoghi che narrano. Scompaiono le persone e non possono essere sostituite da un video, da un messaggio vocale, da un tutorial. È difficile spiegare ad un bambino che ha fatto il suo dovere, che si è disinfettato costantemente le mani, che non è mai entrato in una sezione che non fosse la sua, che ha mantenuto la distanza, che si è privato di molti momenti conviviali e piacevoli, che in quella scuola all’improvviso non ci deve andare più. Per trenta lunghi giorni. Oggi ricominciamo con gioia, con fiducia, come ad ogni nuovo altro inizio. Ma comprendiamo le fatiche dei bambini, delle famiglie, che vivono con la costante paura di perdere i propri punti di riferimento. I bambini convivono con la paura di non vederci più. E si proteggono. Risparmiano il loro investimento emotivo. Non è questa la scuola che abbiamo costruito. Non è questa la scuola che vogliamo per i nostri bambini. La scuola è un luogo sicuro? Certamente. È il luogo sicuro degli affetti, della crescita, della speranza. Senza la scuola (forse) può essere in parte limitato un più alto rischio di contagio. Ma cosa ne è della salute psicologica dei nostri bambini? Che cosa succede alle famiglie sempre più appesantite, sempre più stremate da quello che sembra assomigliare invero al gioco della canzone e delle sedie: si interrompe la musica e all’improvviso non c’è più posto per tutti. “Cara maestra, la mia bambina a casa aveva ripreso a dormire tutti i pomeriggi. Come possiamo fare adesso che la scuola riprende e il pomeriggio non si dorme?”. La scuola è abitudine, è routine. Che detta così sembra facile. Sembra facile fare ogni giorno le stesse cose nello stesso modo. E invece è difficile. Perché dietro quelle abitudini c’è uno studio, dietro quelle parole c’è una narrazione pensata. C’è un filo e all’altro capo ci siamo sempre noi, noi che non ci stanchiamo mai dire, con le parole, con i gesti e con gli sguardi: “Dai che ce la fai!”. “Cara maestra, a scuola il mio bambino aveva cominciato a mangiare la frutta. Ma adesso a casa non la vuole, non riesco a fargliela assaggiare, non vedo l’ora che torni a scuola così magari la mangia con voi”. Cara mamma, non sempre si riesce a riprendere da dove si viene interrotti. Le conquiste sono frutto di lavoro costante. Quando un bambino comincia a fare una cosa che gli costa fatica, è uno dei più grandi atti d’amore e di fiducia. E lo sappiamo bene noi adulti che l’amore e la fiducia non si possono tradire. Perché poi, per recuperare, ci vuole ancora più tempo di quel che ci è voluto a lasciarsi andare la prima volta. Cari governanti, care istituzioni, vorrei che poteste leggere e rispondere ogni tanto a qualcuna di queste richieste di aiuto. No, non è vero, non vorrei. Perché amo il mio lavoro. Lo amo quando va tutto bene e ancora di più quando le cose non vanno bene, perché è facile amare qualcosa o qualcuno quando ci dà sempre ragione e non ci delude mai. In realtà un po’ vi capisco. In mezzo a decreti, fondi, bilanci, a tanti meno e a pochi più, non è facile trovare sguardi d’amore che ti rapiscono. Che stringono un laccio nel punto più profondo del cuore e non lo lasciano andare più. Che ti convincono a dare il meglio di ciò che hai e di ciò che sei, anche nelle giornate più nere. Se aveste la fortuna di provarlo, di incontrarlo quello sguardo, niente e nessuno vi convincerebbe che esiste un motivo valido per non accoglierlo ogni giorno.

Monica Betti, docente del Master

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