Federico Ferrari in questo articolo ci presenta il Manuale ” Boys in care. Supportare i ragazzi nell’ intraprendere professioni di cura ” pubblicato nel 2019 nell’ ambito dell’ omonimo progetto europeo.

È un manuale interdisciplinare (psicologia, sociologia, pedagogia, linguistica, etc.) sulle implicazioni del pregiudizio eteronormativo rispetto all’accessibilità della categoria esperienziale e professionale della cura per i maschi. Si rivolge ai consulenti e i formatori dell’orientamento professionale che lavorano con i giovani, con l’obiettivo di attivare, sul piano riflessivo e su quello operativo, una decostruzione dei pregiudizi di genere, nonché una valorizzazione e una tutela delle risorse umane maschili nel mondo della cura. Il titolo è “Boys in Care. Supportare i ragazzi* nell’intraprendere professioni di cura” ed è stato pubblicato nel settembre 2019 nell’ambito dell’omonimo progetto europeo, con un co-finanziamento del programma europeo Giustizia “Diritti, uguaglianza e cittadinanza”, del Ministero federale tedesco della Famiglia, degli Anziani, delle Donne e della Gioventù, e dei due Ministeri austriaci di Lavoro, Affari sociali e Salute e di Educazione, Scienza e Ricerca. I partner del progetto, coordinati dall’Istituto per l’istruzione e la ricerca Dissens di Berlino, sono il Center for Equality Advancement di Vilnius, il Center of Women’s Studies and Policies di Sofia, l’“Istituto per gli Uomini e gli Studi di Genere” di Graz (“Institut für Männer und Geschlechterforschung”), l’Istituto degli Innocenti di Firenze e il Peace Institute di Lubiana. Devo ammettere che, mentre sfogliavo il manuale, ho sentito una punta di commozione. Pur avendo avuto modo di riflettere a lungo sul tema del genere, e avendo presente la questione del pregiudizio della cura come dominio femminile, delle nuove maschilità come modelli capaci di cura, sono stato colpito dalla semplicità e concretezza con cui questo strumento mette a fuoco la questione: incoraggiamo i ragazzi a proiettarsi, in quanto maschi, nelle professioni di cura. Liberiamoli dagli stereotipi che sin dall’inizio del loro percorso scolastico li orientano lontano da qualcosa che potrebbe invece realizzarli umanamente e professionalmente. Proviamo a superare le ragioni per cui gli uomini, in questi ambiti (educatori degli asili, maestri elementari, infermieri, OS, etc.), rappresentano spesso al massimo il 15% della loro categoria professionale, laddove il loro contributo può essere prezioso ed arricchente. Io stesso, come psicologo, rientro nella categoria, in senso lato, degli uomini che svolgono una professione di cura. Tuttavia, la psicologia, considerata da sempre una professione “intellettuale”, si emancipa dall’insieme di quelle professioni di accudimento fisico che lo stereotipo eteronormativo relega alla sfera femminile. Inoltre, il mio rapporto con il maschile è sempre stato quanto meno “critico”, sia per il fatto di appartenere ad una minoranza sessuale, sia per una mia specifica idiosincrasia di genere. Dico questo per chiarire, prima di tutto a me stesso, come mai la riflessione proposta da Boys in Care mi colpisca tanto: come mai mi sono sentito stupito ed emozionato? Come quando ci mostrano qualcosa di piccolo, che è sempre stato sotto i nostri occhi e che è fondamentale per la nostra riflessione, ma che non notavamo? E come mai una parte di me si è perfino sentita colpevole per non essersi mai interessata alla concretezza della questione? Per non essermene mai fatto carico emotivamente, intellettualmente e operativamente? Questa distrazione mi interroga sulle premesse che orientano il mio interesse sul campo, e capisco che, in definitiva, mi svela non solo un punto cieco nella mia riflessione sull’equità di genere (il ché in sé è positivo e mi entusiasma come un nuovo spunto concreto), ma anche il pregiudizio implicito che si annida dietro tale cecità. Nel soffermarmi per la prima volta abbastanza a lungo sul tema, realizzo (con una punta di orrore) che la mia distrazione ha a che fare tanto con una sorta di svalutazione inconscia di queste professioni, quanto con una mia collusione con l’idea di una maggiore libertà dei maschi nell’espressione di sé: credo sia per questo se, implicitamente, la questione nella mia testa continuava a formularsi come gli uomini lasciano queste professioni alle donne…  laddove la dinamica di genere ci indica semmai che gli uomini non si autorizzano queste professioni, che di conseguenza, in un contesto “fallocentrico” perdono di valore. E allo stesso tempo non mi sento di essere troppo severo con me stesso, perché questo bias cognitivo non riflette una mia convinzione, ma certamente un mio appoggiarmi a delle strutture di pensiero che sono tutte intorno a noi. Ritrovo così nella mia stessa esperienza la questione nodale della costruzione sociale della conoscenza e della rappresentazione della realtà. I pensieri ci sono dati dal contesto fino a quando non ce ne appropriamo, o non li critichiamo, fino a quando non siamo chiamati ad assumercene la responsabilità grazie a qualcuno che ci chiede di prendere una posizione di fronte ad un pensiero alternativo. O fino a quando non ci sentiamo costretti dalle nostre contraddizioni ad elaborare noi stessi tale svolta. Il genere è una costruzione sociale, e per quanto elaborata possa essere la nostra riflessione su di esso, lo spazio di decostruzione si estende costantemente intorno a noi, e la scoperta delle sue implicazioni è un percorso continuo, che fa di noi dei soggetti responsabili del loro percorso di scoperta. In questa prospettiva, il pensiero degli uomini che si realizzano nell’accudimento dell’altro mi tocca profondamente. Mi riempie di ammirazione, perché ai miei occhi questi incarnano la fatica di una scelta autentica, in un percorso diverso dal mio e ben più radicale nello sfidare un pensiero precostituito, per il quale queste professioni per un uomo sarebbero svalutanti e allo stesso tempo preclusi alla sua “natura”. O ancora peggio sarebbero pericolosi, tanto che egli dovrà provare al di là dei pregiudizi di genere non solo di averne le competenze relazionali, ma anche di non essere portatore di una corruzione della cura, dal momento che il pregiudizio è che il contatto intimo del maschio sia sistematicamente sessualizzato. Il compito dunque che Boys in Care si prefissa è quello, ambizioso e fondamentale, di interrogare i ragazzi, nel loro percorso di soggetti di genere maschile, con una alternativa, di chiedere loro di pensare il pensiero del genere a partire dalla loro autenticità, dalla loro reale possibilità di darsi, concedendosi l’opportunità di prendersi cura, al di là delle aspettative e dei pregiudizi del loro cosiddetto privilegio “fallocentrico”.

Federico Ferrari, docente del Master