Va detto subito che questo documento non esiste ancora. Esso fa parte di una più ampia e organica proposta della Commissione Europea di emanazione di un Regolamento volto a disciplinare la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento delle decisioni giudiziarie e l’accettazione degli atti pubblici in materia di filiazione.

Va ricordato che i Regolamenti dell’Unione Europea sono vincolanti per tutti gli Stati Membri, a condizione che il Consiglio li approvi all’unanimità dei suoi componenti. Il Consiglio è composto dai ministri degli Stati membri. Considerato il parere contrario alla proposta formulato l’otto marzo dalla Quarta Commissione del Senato, è ormai chiaro che l’Italia non approverà la proposta di Regolamento.

Malgrado questa facile previsione, vale la pena soffermarsi sul contenuto e lo scopo del certificato e sulle ragioni che ne sono a fondamento.

L’art. 36 della proposta della Commissione Europea sancisce che gli atti pubblici di accertamento della filiazione aventi effetti giuridici vincolanti nello stato membro di origine sono riconosciuti negli altri stati membri senza che sia necessario ricorrere a procedimenti particolari. La stessa cosa stabilisce l’art. 24 per le decisioni giudiziarie. Di conseguenza, il sindaco di un comune di un altro stato membro deve effettuare le trascrizioni senza poter sindacare il rapporto di filiazione risultante da quell’atto e da quella decisione. Per filiazione si intende il rapporto che intercorre per legge tra i genitori e i figli. Essa può essere biologica, genetica, adottiva oppure ope legis.

Il successivo art. 46 istituisce un apposito documento denominato “Certificato europeo di filiazione”. Esso è facoltativo, e viene rilasciato, a domanda dell’interessato, dall’autorità del paese membro in cui è stata accertata la filiazione, e costituisce titolo idoneo per l’iscrizione della filiazione nel pertinente registro di un altro stato membro. La sua sola esibizione obbliga l’ufficiale di stato civile ad effettuare la trascrizione. Viene così facilitato in maniera determinante l’obiettivo del proposto Regolamento: quello di rafforzare la tutela dei diritti dei figli nelle situazioni transfrontaliere, compresi il diritto all’identità, alla non discriminazione e al rispetto della vita privata.

Malgrado la ragionevolezza della proposta e la solidità delle sue motivazioni giuridiche, la Quarta Commissione del Senato ha trovato argomenti per contrastarla nella giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione. Questa, infatti ha sempre ritenuto contraria all’ordine pubblico la gestazione per altri (c.d. maternità surrogata, prevista in Italia come reato), perché lesiva della dignità della donna, e ha indicato come possibile via per creare un rapporto giuridico con il genitore non biologico l’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44 della legge 1983 n. 184 e succ. mod.

Ha citato a questo proposito le decisioni delle Sezioni Unite (Cass., S.U., 38162/2022) e della Corte costituzionale, in base alle quali in mancanza di nuove norme di legge non esiste altra scelta. Ma il Parlamento si guarda bene dall’affrontare un tema così divisivo dal punto di vista politico: e dietro a questo schermo si nasconde la Quarta Commissione del Senato.

Senonché, dal punto di vista giuridico la questione non è affatto risolta. L’adozione in casi particolari, malgrado il restyling a cui è stata sottoposta, non è in gradi di assicurare un legame giuridico tra genitore intenzionale e bambino. Essa non ha effetti retroattivi, e dunque prima della sua pronuncia quel legame non esiste. Per di più, essa ha bisogno dell’iniziativa del genitore intenzionale e cioè di un suo ricorso al giudice. Se egli cambia intenzione (e succede, è successo) nessuno può chiederla al posto suo.

Il Certificato viene redatto secondo un modello plurilingue, ed è utilizzabile in tutti i Paesi dell’Unione, garantendo nel modo più efficace i diritti del bambino.

E’dunque una grave decisione quella del nostro governo, di impedire che la Proposta di Regolamento abbia il successo che merita.

Luigi Fadiga, già giudice minorile