Mi chiamo Bara e da quasi un anno frequento la scuola materna del mio paese. Cioè, del mio nuovo paese. Perché io sono senegalese. Sono venuto in Italia insieme a mia madre, per raggiungere mio padre che lavorava già qui. Quando siamo arrivati in Italia, non lo vedevo da due anni. Ho sei anni, l’anno prossimo andrò alla scuola primaria. Non parlo bene l’italiano, ma i miei amici mi capiscono e anche le maestre. Mi piace andare a scuola perché nessuno mi costringe a parlare. Se voglio lo faccio, altrimenti no. Poi ci sono le maestre che, a volte, mi guardano negli occhi e a me sembra che mi parlino proprio così, attraverso lo sguardo. A scuola si fanno tante cose divertenti, non era così nella scuola del mio paese in Senegal. Non ci sono andato per molto tempo però. Ma qui in Italia la scuola è davvero bella. Stiamo tanto tempo in giardino a raccogliere le foglie e le cortecce, piantiamo la verdura nell’orto, dipingiamo, a volte in sezione e a volte all’aperto. Cantiamo, suoniamo qualche strumento, appendiamo delle decorazioni fatte da noi alle pareti. Poi, ogni tanto, le maestre ci danno una scatola con tutte le cose che abbiamo fatto da portare a casa. E io sono contentissimo, perché posso fare vedere ai miei genitori quante cose ho fatto e imparato. Anche se non parlo bene, quando disegno, dipingo, ballo, corro in giardino mi sento bravo come gli altri bambini. A volte le maestre fanno dei giochi divertenti, anche se per me sono un po’ difficili. “Arriva un bastimento carico di PA…” e noi dobbiamo trovare tante parole che iniziano con quel suono. Non è mica facile. Io ascolto gli altri, che sono più capaci e veloci di me a trovare le parole. Però mi diverto lo stesso. Ascolto e imparo qualche parola, anche se le maestre non lo sanno, perché io le parole che imparo mica le dico, le tengo tutte nascoste nella mia mente. C’è un gioco che mi piace più di tutti. E’ il gioco dei colori. La maestra tiene in sezione una scatola piena di cose. Le tira fuori una a una: una pallina, un cucchiaio, un vasetto. E poi comincia a chiedere: “Di che colore è questo?”. Allora noi facciamo a gara a chi alza la mano più in fretta per dire il colore: rosso, giallo, blu… A me piacciono tanto i colori. Li conosco tutti, anche se non sempre alzo la mano. Ma nessuno mi costringe. A volte la maestra decide di rendere il gioco più difficile e quindi più divertente. Quando diciamo il colore dell’oggetto, ad esempio “giallo”, lei non si ferma e  dice: “Bravo! Giallo come….”; giallo come il sole, giallo come un limone, giallo come le tende della mia casa in Senegal. Il bello dei colori è proprio questo: hanno la capacità di riportarti con la mente a tanti posti e momenti belli della vita. Forse è proprio per questo che mi piacciono tanto. Ogni colore mi ricorda una cosa bella: un frutto, un gioco, un luogo. Basta chiudere gli occhi e lo rivivo ogni volta. Può essere utile quando si ha tanta nostalgia di casa. Ecco che la maestra tira fuori un nuovo oggetto. Facile. Una corteccia. È quella che ho raccolto io l’altro giorno e che le ho regalato. Sono contento che abbia deciso di conservarla e di utilizzarla per il mio gioco preferito. “Di che colore è questo?”. Alzo subito la mano. Facile. “Marrone” dico sicuro. “Marrone come?” risponde lei sorridendo. Guardo i miei amici. Nessuno alza la mano. In effetti, quando pensiamo a qualcosa di colore marrone pensiamo proprio al tronco di un albero. Ma io ho un’idea e la dico senza paura: “Marrone….marrone come io”. La maestra rimane per un momento in silenzio. Poi mi sorride. Si alza e mi abbraccia forte forte. Sento il suo profumo di mughetto e mi chiedo se anche quando andrò alla primaria troverò una maestra che mi abbraccia così forte e con lo stesso profumo. “Bravissimo Nassim, hai avuto davvero un’ottima idea!”. Più che un’idea è la verità. Io lo so di avere la pelle marrone, così come l’albero sa di avere la corteccia marrone o il limone di avere la buccia gialla. Ognuno è com’è e non c’è niente da fare. Ma è bellissimo quando essere come si è ci rende speciali agli occhi di chi ci vuole bene davvero.

Monica Betti, docente del Master

( Foto di Matilde)

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