Regia:  Roselyne Bosch

Genere: Olocausto

Tipologia: Drammatico

Interpreti: Jean Reno, Mélanie Laurent, Gad Elmaleh, Raphaëlle Agogué, Hugo Leverdez

Origine: Francia, Germania, Ungheria

Anno: 2010

Trama: Seconda guerra mondiale. La Francia è da due anni occupata dalle truppe tedesche e vive momenti drammatici. La politica razzista hitleriana, con la complicità del Governo collaborazionista di Vichy presieduto dal maresciallo Pétain, costringe gli ebrei a portare la stella gialla quale segno di riconoscimento e di ludibrio, ad essere allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego, dalle scuole. Bruscamente e incomprensibilmente la vita di tanta gente pacifica e stimata viene sconvolta, resa impossibile, distrutta. A non capire sono soprattutto i bambini privati della loro infanzia, della loro gioia di vivere, dei loro sogni, come Joseph, di solo 10 anni, che stenta a credere a tanta malvagità e follia. A Parigi sono migliaia gli ebrei concentrati soprattutto nel quartiere di Montmartre dove vive lo stesso Joseph. I tedeschi ne avevano chiesti 23.000 e nella notte tra il 15 e il 16 Luglio furono rastrellati in oltre 13.000 (uomini, donne, vecchi, bambini) e trasportati, in parte, nel velodromo d’inverno, il Vel d’Hiv di Parigi e, in parte, condotti nel campo di Drancy per essere successivamente deportati ad Auschwitz. Gli altri 10.000 riuscirono a scappare o a nascondersi aiutati dalla popolazione. Nel Velodromo le condizioni di vita sono al limite della sopravvivenza. Mancano l’acqua, il cibo, le latrine si vive ammassati in spazi ristretti, sporchi, malsani, affatto igienici. L’unico lieve sollievo a tanta sofferenza giunge dall ’infermiera Annette Monod, sempre vicina ai bambini e dal colonnello dei vigili del fuoco Pierret e dei suoi pompieri che fanno tutto il possibile per passare acqua e consegnare lettere e notizie a parenti e amici scampati al rastrellamento. Quando gli adulti e i giovani vengono deportati ad Auschwitz da cui non faranno mai ritorno, l’unica a prendersi cura dei più piccoli è Annette. Tutti avevano percepito, ormai che il distacco era definitivo. La mamma di Joseph nel salutarlo lo invita a scappare, a mettersi in salvo. Il bambino escogita la fuga con l’amico Simon e il fratellino Nono. Simon rinuncia perché ha un’ernia e rimane col fratellino Joseph riesce ugualmente a scappare con un altro ragazzo Tutti gli altri sono caricati sul treno che li porterà nel campo di sterminio da dove non faranno mai più ritorno. Invano Annette, ammalata, avvisata dal medico, tenta di fermare il convoglio. Soltanto a guerra terminata, nel 1945, la coraggiosa infermiera ritrova a Parigi nell’ albergo Lutetia, dove vengono accolti i sopravvissuti dei campi di concentramento, Joseph e il piccolo Nono anch’ egli sopravvissuto alla ricerca della mamma.

Recensione: Scene in bianco e nero d’epoca, con Hitler che primeggia nei sui discorsi esagitati, fanatici e deliranti, aprono “La rafle” (la retata), titolo originale dell’ultimo lungometraggio di Rose Bosch malamente tradotto in italiano “Vento di primavera”. Solo quando la macchina da presa punta su una giostra in movimenti con bambini che ridono e si divertono arriva il colore. Ma con il colore della giostra, degli abiti estivi e dei sorrisi dei bambini, è ben visibile anche quella stella gialla di David, che tutti gli ebrei erano stati costretti ad indossare. Il lungometraggio racconta i fatti che hanno segnato per sempre la notte del 16 luglio 1942 a Parigi, quando vennero letteralmente “rastrellati” oltre 13.000 ebrei segnando una delle pagine più orribili del periodo fascista in Francia, fino ad oggi mai stata rappresenta sul grande schermo. L’opera di Rose Bosch è uscita nelle sale italiane proprio il 27 gennaio, per celebrare l’annuale Giornata della memoria riservata alla Shoah. L’evento viene raccontato dagli occhi di Joseph Weismann (ben interpretato da Hugo Leverdez), un bambino di 11 anni che vive con la sua famiglia e i suoi compagni nel quartiere di Montmartre, dove molte famiglie ebree trovarono rifugio durante il periodo dell’occupazione. La telecamera segue Joseph detto Jo, anche lui con la stella gialla cucita sul petto, una mattina di giugno; nel percorso per andare a scuola Jo incontra il sorriso di un rigattiere e l’astio di una fornaia, emblemi della spaccatura che serpeggia anche tra la gente comune della Parigi occupata di allora. Spaccatura creata dai messaggi lanciati ad arte dalla radio che seminano il più irrazionale ma efficace disprezzo per l’altro, alimentandolo con la ripetizione delle falsità, cosa che siamo abituati a subire anche oggi su altri fronti, in modo da rendere le menti assuefatte all’idea della ‘normalità’ dell’emarginazione. Gli ebrei vengono gradatamente emarginati dalla società, prima esautorati dai loro impieghi come accade al papà di Joseph, poi viene loro impedito di accedere a scuole e luoghi pubblici come accade allo stesso Joseph. La retata, inizialmente prevista il 14 luglio 1942, festa nazionale francese della presa della Bastiglia, venne spostata al 16 luglio ed eseguita grazie all’accordo tra Hitler e il generale Pétain utilizzando la Gendarmeria che non nascondeva il proprio antisemitismo, per rastrellare i 24.000 ebrei residenti a Parisi, in particolare nel quartiere di Montmartre. Oltre 13.000 furono presi durante la notte e ammassati nel velodromo d’Hiver, senza acqua e servizi igienici – tanto da far venire in mente a qualcuno le immagini dello stadio di Santiago del Cile dopo il colpo di stato di Pinochet – aspettando che la sorte li caricasse sui treni diretti nel campo di concentramento Beaune-la-Rolande, uno dei 200 sparsi per la Francia. Al Velodromo incontriamo il medico ebreo David Sheinbaum (Jean Reno) e l’infermiera Annette Monod (Mélanie Laurant) che assistono con anima e corpo fino allo stremo delle forze, questa massa di uomini e donne, di anziani e di bambini, deportati nella prima tappa del loro viaggio verso la morte. Ma è quando il medico urla di fronte all’ennesimo sopruso “Non ne avete il diritto”, che lo spettatore percepisce che si tratta di una vana richiesta senza nessuna possibilità di ascolto. Da segnalare la lucidità e la meticolosa ricostruzione storica, così come la ricostruzione realistica del velodromo d’Hiver, che si contrappone all’emotività, al sentimento e alla commozione dei personaggi, in primis di Joseph, tutti realmente esistiti come viene ricordato nei titoli di apertura. Rose Bosch, che è anche produttrice e sceneggiatrice, ha esordito dietro la macchina da presa nel 2005 con il film “Animal”, thriller mai uscito nelle sale italiane. Ha costruito questo suo secondo lungometraggio su tre piani narrativi mostrandoci da un lato Hitler nella sua dimora estiva del Berghof da dove detta ordini per radio, dall’altro il generale Pétain, il Primo Ministro Pierre Laval che insieme ad altri componenti del regime di Vichy negozia e orchestra l’azione, con in mezzo le famiglie ebree riprese nella loro vita quotidiana dal punto di vista di Joseph, dei suoi familiari e dei suoi coetanei. La lavorazione di questo lungometraggio, insieme al produttore Ilan Goldman (già conosciuto per “La vie en rose” e  sulle cui memorie si basa parte della storia), è durata 10 anni ed è partita proprio dal racconto di Joseph Weismann, uno dei sopravvissuti, ben riuscendo a calare la sua vicenda personale trascinante ed empatica nel contesto storico complesso di allora. Va precisato che “la rafle” non accusa i francesi in generale, infatti viene ben evidenziato che sono oltre 12.000 gli ebrei che riescono a sfuggire alla retata, spesso grazie ai parigini che li hanno aiutati a nascondersi mettendo a rischio la propria vita. Una frase resta impressa fra le tante: “Non è dei morti che devi avere paura, ma dei vivi”.

Joseph Moyersoen