Non lo so come ci sono finita qui dentro. Come può accadere che una ragazza di diciassette anni finisca in una valigia con il cranio fracassato? E come può accadere che ad infilarla lì dentro sia il ragazzo che diceva di amarla più di ogni altra cosa?

All’inizio pensavo che fosse normale. Credevo che la sua gelosia fosse una dimostrazione del suo amore. Perciò non ci facevo troppo caso quando leggeva i miei messaggi sul cellulare o quando non voleva che uscissi con la minigonna. Oppure quando mi lasciava uscire con le amiche e, ad un certo punto, me lo ritrovavo proprio lì dove avevamo deciso di cenare o di andare a bere qualcosa. Diceva che gli mancavo, che non poteva stare senza di me nemmeno una sera. Ed io gli credevo sempre. Non mi ero accorta che le mie amiche si stavano allontanando, che non mi cercavano più come prima.

Non mi ero resa conto che, giorno dopo giorno, stavo rimanendo sola. Sola con lui che, all’improvviso, non mi sembrava più così perfetto come all’inizio. Cominciavano a pesarmi le telefonate notturne, alle quali dovevo rispondere per dimostrare che ero a casa e non in un qualunque posto nel quale non ero stata autorizzata ad andare. Accettavo con fatica i regali che lui mi faceva dopo l’ennesima litigata sterile, in cui mi ricopriva di insulti, solo perché avevo dimenticato di dirgli che mi ero alzata presto per andare a correre, o perché avevo voglia di andare a ballare. Avevo perdonato persino uno schiaffo che mi aveva dato in un momento di rabbia. Lo avevo fatto perché avevo capito che era accecato dal furore e dalla gelosia e non si era reso conto del male che mi aveva fatto. Il livido vicino all’occhio si era rimarginato. Ma non la ferita che avevo nel cuore.

Finché un giorno ho cominciato a pensare alla mia vita prima di lui. Spensierata, felice, ricca di amicizie e di affetti che avevo perso, uno dopo l’altro, per rincorrere una stella che aveva smesso di brillare. Ho cominciato a chiedermi come sarebbe stato poter spegnere il cellulare prima di andare a dormire, dimenticarlo su un tram in corsa, oppure comprarmi un vestito corto e scollato come quello di mia sorella Sofia. Mi immaginavo libera, libera da quel senso di oppressione, da quell’angoscia che non mi abbandonava mai. Per poter riprendere la mia vita non c’era che una soluzione: lasciarlo. Magari avrebbe sofferto un po’ all’inizio, avremmo sofferto entrambi, ma poi avremmo capito che era la soluzione migliore. Così mi sono fatta coraggio e gliel’ho detto, tutto d’un fiato: “Non sono più innamorata di te”. Non potrò mai dimenticare quello sguardo. Quegli occhi color del cielo diventare di ghiaccio. Quelle guance che avevo accarezzato tante volte serrarsi in un ghigno spaventoso che, per la prima volta, mi aveva fatto davvero paura.

Non lo so come mi sono ritrovata in questa valigia. Ma, soprattutto, non so se qualcuno mi ritroverà mai. Mia madre mi starà cercando e anche le mie sorelle. Forse anche le mie amiche. Mi aspetteranno fuori dalla scuola, che ho bigiato proprio oggi per incontrare lui e dirgli quello che non è riuscito a sopportare. Chiederanno a tutti i passanti se mi hanno vista. Ma non mi ha vista nessuno. Ci siamo incontrati in un posto segreto, che solo io e lui conosciamo. Pensavo che sarebbe stato più facile per lui accettare la nostra separazione in un luogo che per noi era stato speciale. Come potevo immaginare che quel capanno in cui ci siamo dati il primo bacio sarebbe diventata la mia tomba?

È piccola questa valigia, troppo piccola per contenermi tutta. Per contenere tutto quello che ero e che avrei voluto diventare. Penso a tutti i sì che ho detto quando, invece, avrei voluto dire no. A tutti i sorrisi che celavano tristezza e malinconia. Penso ai suoi occhi, quegli occhi che amavo e che adesso mi terrorizzano. Quegli occhi che porterò con me, come ultimo ricordo, chiusa dentro questa valigia.

Monica Betti