Da quando la Corte Costituzionale, con la sentenza 162/2014, ha dichiarato incostituzionale la legge 40/2004, nella parte in cui vietava la fecondazione eterologa, il commercio di gameti, in Italia, ha riportato un notevole incremento.

Secondo la Consulta, quello di avere un figlio è un «diritto incoercibile», vale a dire che non può essere soggetto ad alcuna limitazione. Da qui la decisione: se una coppia sterile desidera avere un figlio, e la scienza glielo permette, è possibile unire un gamete “interno” ad un altro “esterno”. Vale a dire né dell’uomo né della donna richiedenti, ma procurato sul mercato. “La scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia figli – in tal modo si è pronunciata la Consulta – è espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi”. Certo e indiscutibile, ma le fattispecie originate dai comportamenti umani sono innumerevoli.

La recente vicenda, su cui si è acceso un vivo interesse mediatico, riguarda un medico che ha costretto, con violenza, una “donatrice” a sottoporsi all’intervento di asportazione degli ovociti (intervento cd. di pick up), previa sedazione.

I fatti.  I medici di una clinica milanese avevano tentato di indurre un’infermiera, da tempo loro collaboratrice, a subire un’operazione sulla base di una dubbia diagnosi di cisti ovarica. La donna, sospettosa, si era allontanata ed era ormai prossima a ritornare in Spagna – suo Paese d’origine -, ma veniva convinta a recarsi nuovamente presso la clinica, dove la situazione precipitava: a fronte del suo rifiuto di prestare il consenso all’intervento, veniva minacciata e infine costretta con la violenza fisica a subire un’anestesia. Con un’operazione eseguita dallo stesso medico direttore sanitario del centro, il dott. Antinori, le venivano quindi prelevati sei ovociti da destinare a lucrosi interventi di fecondazione eterologa – e, in effetti, subito dopo fecondati e crioconservati-, bloccati poi dal sequestro delle forze dell’ordine.

Sul punto la Corte (Cass. pen. 37818/2020) ha affermato: «L’imputato, infatti, usò violenza per costringere la ragazza a subire l’intervento, ponendola poi in stato d’incapacità di agire mediante sedazione, al preciso ed esclusivo scopo di prelevare i suoi ovociti, poi fecondati, con successivo impianto degli embrioni in tre pazienti e, quindi, di conseguire un ingiusto profitto».

Per completezza d’esposizione si deve aggiungere che la clinica versava in difficoltà finanziarie e in quel periodo l’unica donatrice disponibile era la ragazza in questione, circostanza confermata anche dalle intercettazioni, dalle quali risultò che proprio in quei giorni la clinica aveva programmato l’intervento di impianto a tre coppie in attesa.

Se la vicenda mette in luce i rischi che dietro la fecondazione eterologa si nasconda un mercato illegale di gameti, e soprattutto lo sfruttamento del corpo di donne ignare delle procedure a cui vanno incontro, le domande, i dubbi, gli interrogativi, le questioni in materia sono pressoché infinite e non di facile soluzione.

Ci si chiede a chi appartengono i sei embrioni sequestrati nella clinica?

Se veramente esistono embrioni umani ottenuti da ovociti contro la volontà della “donatrice”, ci si troverebbe di fronte a un evento ancora più drammatico dello scambio di embrioni avvenuto all’ospedale Pertini di Roma.  

La dottrina (per tutti, Morresi) afferma come ci si troverebbe di fronte ad una madre genetica che non ha dato il suo consenso, e di fronte ad una, o più, coppie committenti, dove uno o più uomini sono i padri biologici, ed una o più donne si preparano a ricevere gli embrioni in grembo e diventare madri gestazionali. (Inoltre – è bene ricordare – esiste la possibilità che anche per il liquido seminale si sia ricorsi a “donatori”, e che i committenti non abbiano alcun legame biologico con gli embrioni, il che complicherebbe ancor più la situazione).

Certo, con le nuove tecniche di fecondazione assistita si diventa genitori se si ha l’intenzione di avere un figlio, a prescindere dal contributo biologico.

Ma in questo caso è ancora possibile definire “genitori” la coppia committente? Se la donna – cui sono stati prelevati gli ovociti – diviene madre genetica contro la propria volontà, e il padre biologico invece ha dato il proprio consenso, di chi sono gli embrioni, e chi può deciderne la sorte? Può la madre genetica ottenere, ad esempio, che le siano trasferiti in utero gli embrioni ottenuti dai propri ovociti? E se il padre biologico invece chiede che siano trasferiti alla sua compagna? E se i padri biologici sono diversi? Gli interrogativi si moltiplicano in modo esponenziale.

C’è un insieme di diritti e pretese attorno ai 6 embrioni sequestrati nell’indagine volta ad accertare come si sono svolti i fatti: la ragazza spagnola che reclama il diritto di non diventare madre attraverso i suoi ovociti rubati; quelli delle tre coppie che vorrebbero diventare genitori attraverso quegli ovociti; quelli dello Stato che li ha sequestrati come corpo del reato. E poi ci sarebbe il diritto degli embrioni, per di più in questo caso metà ‘leciti’ (il seme messo a disposizione dai maschi delle coppie) e metà no (l’ovocita rubato alla presunta vittima) a diventare vite umane. Ma l’embrione ha questo diritto? E l’embrione per metà corpo di reato lo manterrebbe?

Lontani dal dare una soluzione all’intricato e doloroso caso, è bene ricordare che nel nostro ordinamento l’embrione non è un soggetto giuridico, e che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito con una storica sentenza del 2015 (caso Parrillo) che esso è titolare dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti gli uomini e tra questi, primo su tutti, c’è il diritto alla vita.

E sullo sfondo, se dovesse essere seguita la via europea, resta una questione immane: prevale la volontà di una donna che avrebbe subito una violenza oppure il diritto di 6 vite potenziali?

Nell’attesa di conoscere il responso, possiamo tentare di formulare una soluzione, ovvero quella di dar vita agli embrioni, sul modello di quanto stabilito dai giudici di S.M.C. Vetere nel 2021, con ordinanza che, sulla linea di quanto enunciato dalla Corte Costituzionale (229/2015) per cui “l’embrione, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico”, ribadisce che “deve ritenersi prevalente il diritto dell’embrione a nascere”. Ovvero, tra il nascere e il non nascere, si ritiene prevalente la prima opzione.  Chi saranno i genitori, è doloroso e arduo stabilirlo. Restiamo in attesa.