Poche settimane fa la stampa ha dato notizia di una bimba nata in Ucraina da maternità surrogata, che i genitori dopo il riconoscimento non avevano condotto in Italia, lasciandola alle cure di una tata del posto da loro retribuita. Quest’ultima,  trascorso un anno e cessati i pagamenti, si era rivolta al Consolato italiano segnalando il caso, che veniva riportato anche alla procura della repubblica di Novara, luogo di residenza dei genitori.

Dovendola considerare cittadina italiana abbandonata all’estero, venivano attivati la Croce Rossa Italiana e la Polizia di Stato, che provvedevano a portarla in Italia e al suo provvisorio collocamento. Del caso veniva informato anche il Tribunale per i minorenni di Torino, competente per territorio.

Nelle scarne notizie fornite dai media mancano alcuni tasselli fondamentali per   commentare la vicenda dal punto di vista giuridico. Non è dato sapere se si trattava di coppia coniugale né se un percorso adottivo era impossibile per ragioni di età o di altro (ad es., negata dichiarazione di idoneità). Si ignora anche se il padre abbia fornito lo sperma; quando, davanti a chi, e da parte di chi sia avvenuto il riconoscimento; se l’autorità consolare fosse all’oscuro della vicenda fin dalla nascita della bambina. Si possono fare solo delle ipotesi, per sottolineare comunque la complessità della vicenda e per segnalarne alcuni aspetti umani, come il fatto che la piccola giunta in Italia abbia avuto bisogno di una tata parlante ucraino, non avendo mai sentito o parlato la lingua italiana.

Sembrano però opportune alcune considerazioni. Molti anni dopo la legge sull’adozione internazionale (sostanzialmente una buona legge, che ha posto ordine in una selva selvaggia) vi sono ancora coppie che, per soddisfare il desiderio di un figlio, preferiscono il fai da te e vanno all’estero. Territorio privilegiato sembra essere l’Ucraina, la cui legislazione consente la maternità surrogata e non pone ostacoli al riconoscimento del nato. Agenzie specializzate facilmente reperibili su Internet digitando maternità surrogata ucraina, vendono pacchetti completi (dalla fecondazione anche eterologa al riconoscimento del nato) per costi che vanno dai 15 ai 40 mila euro, escluso viaggio e soggiorno.

Senza voler anticipare le decisioni dell’Autorità giudiziaria minorile, lo stato di abbandono sembra evidente. E’ un diritto del minore crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 legge 28 marzo 2001 n. 149). La privazione di assistenza morale materiale da parte di genitori o parenti è in re ipsa e non è esclusa dall’affidamento a terzi (art. 8 co.2 legge citata); il compenso all’affidataria ucraina (peraltro interrotto dopo un anno) non può sostituire visite e contatti personali significativi col figlio; non risultano cause di forza maggiore di carattere non transitorio.

Dal canto suo, la legge 19 febbraio 2004 n. 40 sulla PMA esigono una comune volontà espressa per iscritto irrevocabile dal momento dell’avvenuta fecondazione dell’ovulo. In base a questa legittima procedura, l’art. 8 della stessa legge stabilisce che il nato ha lo status di figlio. Limiti severi sono posti dall’art. 9 all’azione di disconoscimento nel caso di fecondazione eterologa. Tutta questa normativa è stata volontariamente elusa dalla coppia piemontese. Ma non basta, poiché se il riconoscimento è stato fatto tacendo il ricorso alla maternità surrogata e dichiarando falsamente di essere i genitori naturali della bambina, potrebbe configurarsi aspetti di rilevanza penale.

Luigi Fadiga, giurista, collaboratore del Master, già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna e Roma