Aprire il giornale, leggere un libro, guardare fuori dal finestrino mentre si è tra le persone (sul treno, in metrò o al parco) trasmette il messaggio: “non disturbare”. Può anche permettere ai più timidi di guardare da sotto il giornale e “non farsi vedere”. Strategie di questo tipo sono sempre state utilizzate, pongono confini e una sorta di galateo della comunicazione.

Oggi tale possibilità è amplificata, raramente la si lascia a casa ed è tascabile: lo smartphone. Per questo è stato creato il termine che unisce Phone + snubbing ossia snobbare con il telefono. Quale è il problema allora? Il problema può presentarsi quando diventa una sorta di comportamento normativo: spesso siamo connessi per lavoro, per le ultime notizie, per un WhatsApp che non può attendere, per non dimenticare alcune cose che ci potrebbero sfuggire, per giocare in un momento di pausa… e non siamo presenti con l’altro che è seduto a fianco a noi o nel nostro letto. Per distrarci dal qui e ora basta davvero un nonnulla…un filo di noia, un momento di pausa nella conversazione, un momento del film più prevedibile…

Non siamo presenti, ma non tanto con il linguaggio (emisfero sinistro) con il quale volendo possiamo anche fare due cose contemporaneamente e rispondere a chi è con noi fisicamente, ma soprattutto non siamo presenti con la gestualità, la mimica, gli occhi, il sorriso…ossia tutto ciò che è governato dal nostro emisfero destro, tutto ciò a cui i nostri bambini sono maggiormente legati (sia in età non verbale che successivamente) ma anche ciò che dice all’adulto presente se siamo autentici, coinvolti o meno nelle nostre risposte e  nel nostro esserci. Il mio pensiero vola al passato. I miei figli hanno otto anni di differenza. Ho vissuto il momento in cui ad un certo punto i bambini di una tavolata al ristorante erano sorprendentemente tutti seduti composti; ognuno dietro al proprio schermo. È stato impressionante. Ora tale comportamento è pressoché prescrittivo. Per bambini e per adulti. Vado ancora indietro e ripenso a quando allattavo i miei figli, 10 minuti ad ogni seno. E oggi? Come cambia tale intimo momento? Le ricerche dicono che sempre più madri allattano guardando il cellulare. Mi chiedo: riuscirei a stare 20 minuti senza fare nulla stesa sul divano o su una sedia guardando rapita quella testina senza distrazioni oppure la snobberei perché mi sembrerebbe di poter essere in due luoghi contemporaneamente (online e offline)?  E ancora un neonato che è governato fino ai 3 mesi dall’emisfero destro completamente come reagirebbe a tutto questo? Sarà interessante scoprire che strategia adattiva svilupperanno questi infanti per sviluppare un attaccamento sicuro in mancanza di uno sguardo centrato su di loro.

Faccio un salto alla fanciullezza e mi chiedo quanto è variata la vita e il rapporto con i figli dall’ingresso dello smartphone. Quanto ha inciso in un altro momento importante di ogni bambino: lo svolgimento dei compiti. Quanto il cellulare distrae i care-givers anche più attenti? E durante i vari pranzi? 

A volte il phubbing è voluto, una opzione scelta in modo consapevole, può proteggere  da imbarazzi, dalla noia ad una fermata o dalla timidezza di alzare lo sguardo in mezzo a tanti altri ragazzi (spesso nei colloqui i ragazzi mi raccontano storie molto simili su questo punto), insomma il phubbing fornisce una via di fuga da situazioni percepite anche solo come minimamente “scomode” o imbarazzanti; è una scorciatoia immediata, veloce anche se comporta il rischio di isolarsi sempre di più  o essere percepiti come snob.

Altre volte invece non è più una scelta, diventa quasi un gesto istintivo, quasi inconscio tirare fuori il cellulare durante momenti relazionali: in un tavolo del bar, nella pausa del cinema, mentre facciamo la spesa, pranzando o passeggiando con chi amiamo, rischia di divenire un comportamento che ignora gli altri durante interazioni sociali reali nel qui e ora per dedicarsi al proprio smartphone, permettendo un’assenza costante poiché la comunicazione più attiva è nello spazio virtuale. A volte tale comportamento soprattutto nei giovani (ma anche negli adulti) sembra nascondere la paura di essere tagliati fuori, un bisogno di controllo e per questo si parla spesso di: “Fear of Missing Out” (FoMO).

Altri momenti importanti sono il momento dell’addormentamento…come è variato nella messa a letto dei bambini e cosa succede alla coppia che va a letto e ognuno tira fuori il suo cellulare sotto le lenzuola? Cosa succede nel rapporto genitore /figlio o tra fratelli quando le conversazioni reali ed attive si svolgono altrove?

Depressione, calo del desiderio, fraintendimenti, ansie, diminuzione del dialogo, irritabilità ma anche isolamento e solitudine maggiormente percepite da ragazzi e da adulti sembrano alcune delle conseguenze possibili. Riflettere su queste tematiche penso che sia importante per scegliere davvero quale modello educativo trasmettere ai ragazzi, per scegliere quando essere presenti con le persone che amiamo e nella comunità e per diminuire eventuali dipendenze (che proprio perché tali a volte non ce ne rendiamo conto).

Facciamo un piccolo test: oggi quanto tempo pensiamo di avere utilizzato su wapp? Quanto per le chiamate? E per i social? Un pregio della tecnologia è che è come la bilancia: non mente mai e registra tutti i nostri utilizzi! Ora che avete stimato il tempo percepito secondo voi scrivetevelo e poi andate nella sezione “Benessere digitale” o “Screen time” del telefono.

I tempi percepiti e quelli reali combaciano? Cosa vi fa pensare? E se volete continuare a giocare…chi pensate che nella vostra famiglia utilizzi maggiormente il telefono? Per cosa? Quanto pensate sia grande la differenza tra le generazioni nelle vostre case? Se volete, verificate con un click le vostre e le altrui percezioni.

Vi lascio con un interessante pubblicità progresso spagnola sul tema del Vamping (termine con il quale si intende girare per casa con i telefoni giorno e notte) e come vedrete anche sul phubbing (spesso i due atteggiamenti nella realtà vanno a braccetto); insomma………. Buona visione!

Vamping: El Ladrón del Sueño – YouTube

Licia Barrocu, psicologa e psicoterapeuta

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