ancona

Il tour Comunità ripercorre oggi, attraverso i racconti del responsabile Ce.I. di Ancona, Alessandro Maria Fucili, trent’anni di accoglienza in comunità.

Premesse legislative

REGOLAMENTO REGIONALE 8 marzo 2004, n. 1. Disciplina in materia di autorizzazione delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Il regolamento regionale[1] definisce i requisiti funzionali, strutturali e organizzativi, nonché le procedure e le modalità per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale di cui alla legge regionale 6 novembre 2002, n. 20 (Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale), di seguito denominata legge.

Definisce la comunità educativa per minori come struttura educativa residenziale e a carattere comunitario, che si caratterizza per la convivenza di un gruppo di minori con una équipe di operatori (solitamente in numero eguale tra uomini e donne), che vivono con i minori secondo turni di lavoro che diano continuità alla loro presenza in Comunità) e che svolgono la funzione educativa come attività di lavoro.

I requisiti funzionali concernono i servizi offerti dalle comunità che devono integrare o sostituire le funzioni genitoriali temporaneamente compromesse accogliendo il minore in un contesto educativo che si adegua ad esso favorendo l’instaurarsi di relazioni significative e  che deve contenere i tempi dell’accoglienza fino ad un massimo di 24 mesi, favorendo la definizione in un progetto stabile per il minore: ritorno in famiglia, affidamento familiare o adozione.

I requisiti minimi strutturali concernono l’inserimento della comunità educativa nel tessuto urbano o nella sua prossimità con collegamenti di trasporto comunque garantiti per le sedi scolastiche e /o lavorative; ed il rispetto delle norme vigenti in materia di urbanistica, edilizia, antisismica, prevenzione incidenti, igiene e sicurezza.

I requisisti minimi organizzativi prevedono che la Comunità educativa adotti la Carta dei servizi ed elabori un progetto generale di comunità (da confermare annualmente) indicandovi obiettivi e riferimenti educativi generali, tipo di prestazioni erogate, organigramma, organizzazione quotidiana, strategie di formazione permanente per operatori e modalità di lavoro dell’équipe. L’accoglienza del minore è subordinata alla predisposizione da parte dei servizi sociali e sanitari di un piano di intervento che comprende le eventuali delibere del Tribunale per i Minorenni e del Tribunale Ordinario e inoltre la Comunità Educativa ha la responsabilità, dopo un periodo di osservazione del minore, di redigere un Progetto Educativo Personalizzato coerente con il progetto generale della comunità.

Inoltre il Regolamento Regionale stabilisce i criteri inerenti la professionalità degli operatori attraverso i requisiti di accesso del personale di coordinamento e dell’area educativa (titoli di studio: scienze della formazione e dell’educazione, psicologia, scienze sociali).

 

Legge regionale n. 23 del 28 luglio 2008.  Autorità di garanzia per il rispetto dei diritti di adulti e bambini.

L’ Autorità di garanzia che ha idoneità nel settore della tutela per il rispetto dei diritti di adulti e minori è stata istituita con la legge regionale n. 23 del 28 luglio 2008[2]. L’Autorità svolge i compiti inerenti tale funzione attraverso tre enti differenti:

  1. L’ufficio del Difensore Civico: che svolge ai sensi dell’articolo 44 del d.lgs. 286/1998, le funzioni di informazione e supporto agli stranieri vittime delle discriminazioni dirette ed indirette per motivi razziali, etnici e religiosi di cui al d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), nonché delle situazioni di grave sfruttamento indicate all’articolo 18 del d.lgs. 286/1998 citato.
  2. L’ufficio di Garante dei diritti dei detenuti che concorre ad assicurare alle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale l’effettivo esercizio dei diritti in quanto utenti dei servizi pubblici regionali e delle connesse attività.
  3. L’ufficio del Garante per l’infanzia e l’adolescenza in particolare ai sensi dell’art. 10, comma 1, svolge la sua attività al fine di assicurare la piena attuazione nel territorio regionale dei diritti e degli interessi, sia individuali che collettivi, dei minori, anche ai sensi di quanto previsto dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 , ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea ONU a New York il 20 novembre 1989 e dalla Carta europea dei diritti del fanciullo adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77, nonché dal diritto dell’Unione Europea e dalle norme costituzionali e legislative nazionali vigenti.

Secondo tale legge le funzioni del Garante per l’infanzia e l’adolescenza sono in  particolare:
a) promuovere, in collaborazione con gli enti e le istituzioni che si occupano di minori, iniziative per la diffusione di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, finalizzata al riconoscimento dei bambini e delle bambine come soggetti titolari di diritti;
b) collaborare all’attività delle reti nazionali ed internazionali dei Garanti delle persone di minore età e all’attività di organizzazioni e di istituti internazionali di tutela e di promozione dei loro diritti. Collabora, altresì, con organizzazioni e istituti di tutela e di promozione dei diritti delle persone di minore età appartenenti ad altri Paesi;
c) verificare che alle persone di minore età siano garantite pari opportunità nell’accesso alle cure e nell’esercizio del loro diritto alla salute e pari opportunità nell’accesso all’istruzione anche durante la degenza e nei periodi di cura;
d) favorire lo sviluppo della cultura della mediazione e di ogni istituto atto a prevenire o risolvere conflitti che coinvolgano persone di minore età;
e) segnalare alle competenti amministrazioni pubbliche presenti sul territorio regionale, casi di bambini e ragazzi in situazioni di rischio o di pregiudizio per i quali siano necessari interventi immediati di tutela assistenziale o giudiziaria;
f) rappresentare i diritti e gli interessi dell’infanzia in tutte le sedi regionali, secondo le modalità previste dalla presente legge;
g) promuovere, in accordo con la struttura regionale competente in materia, iniziative per la celebrazione della giornata nazionale dell’infanzia e dell’adolescenza;
h) promuovere la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini di minore età alla vita pubblica nei luoghi di relazione e nella scuola;
i) vigilare con la collaborazione di operatori preposti, affinché sia data applicazione su tutto il territorio regionale alle Convenzioni e alle normative indicate al comma 1;
l) accogliere segnalazioni in merito a violazioni dei diritti dei minori, vigilare sulle condizioni dei minori a rischio di emarginazione sociale e sollecitare le amministrazioni competenti all’adozione di interventi adeguati per rimuovere le cause che ne impediscono la tutela;
m) intervenire nei procedimenti amministrativi della Regione e degli enti da essa dipendenti e degli enti locali ai sensi dell’articolo 9 della legge 241/1990 ove sussistano fattori di rischio o di danno per le persone di minore età;
n) curare, in collaborazione con il CORECOM, la realizzazione di servizi di informazione destinati all’infanzia e all’adolescenza e promuovere nei bambini e negli adolescenti l’educazione ai media;
o) vigilare sulla programmazione televisiva, sulla comunicazione a mezzo stampa e sulle altre forme di comunicazione audiovisive e telematiche per la salvaguardia e la tutela dei bambini e delle bambine, sia sotto il profilo della percezione infantile che in ordine alla rappresentazione dell’infanzia stessa;
p) segnalare all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed agli organi competenti le eventuali trasgressioni commesse in coerenza con il codice di autoregolamentazione della RAI;
q) istituire un elenco al quale può attingere anche il giudice competente per la nomina di tutori o curatori;
r) promuovere interventi a favore dei minori inseriti nel circuito penale;
s) assicurare la consulenza ed il sostegno ai tutori o curatori nominati;
t) verificare le condizioni e gli interventi volti all’accoglienza ed all’inserimento del minore straniero anche non accompagnato;
u) vigilare affinché sia evitata ogni forma di discriminazione nei confronti dei minori;
v) collaborare all’attività di raccolta ed elaborazione di tutti i dati relativi alla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in ambito regionale;
z) formulare proposte e, ove richiesti, esprimere pareri su atti normativi e di indirizzo riguardanti l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia, di competenza della Regione, delle Province e dei Comuni.

 

Incontro con il Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Marche

Attuale titolare dell’incarico è l’Avvocato Andrea Nobili, eletto dall’Assemblea Legislativa in data 22 settembre 2015.

In conformità e ottemperanza alle sue funzioni (specificate nella Legge Regionale n. 23 del 28 luglio 2008) di cui in particolare la promozione in collaborazione con gli enti e le istituzioni che si occupano di minori; egli deve rappresentare i diritti e gli interessi dell’infanzia in tutte le sedi regionali, collaborare all’attività di raccolta ed elaborazione di tutti i dati relativi alla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, formulare proposte e, rappresentare i diritti e gli interessi dell’infanzia in tutte le sedi regionali, secondo le modalità previste dalla legge.

Il Garante regionale ha attivato un percorso di documentazione della situazione dei minori ospitati nelle varie Comunità Educative della regione Marche.

L’obiettivo è stato di esaminare le dinamiche alla base di questo fenomeno, tentando contemporaneamente di produrre spunti di riflessione anche a guida di percorsi normativi futuri per la maggiore tutela possibile dei diritti relativi ai minori allontanati dal proprio nucleo familiare, della loro accoglienza e dell’accoglienza di minori stranieri non accompagnati.

Le Comunità che sono state interessate da tale rilevazione (attraverso la compilazione di una scheda di raccolta dati contenente le informazioni ritenute prioritarie per una conoscenza), sono state  individuate tramite analisi dalla Legge Regionale del 6 novembre 2002, n. 20. In particolare all’art. 3 della medesima legge, le strutture sono state individuate in base alle varie tipologie funzionali e in relazione a diverse variabili: natura del bisogno; intensità assistenziale e complessità dell’intervento.

Dall’analisi di tali indicazioni e mediante la collaborazione con l’Osservatorio delle Politiche Sociali della Regione Marche, sono state individuate 69 Comunità.

Congiuntamente a tale attività di raccolta dati sono state realizzate una serie di visite dirette da parte del Garante per l’infanzia e adolescenza e dei responsabili dei suoi uffici nelle Comunità Educative del territorio. Tali visite sono state effettuate in 20 comunità ossia il 29% circa delle comunità prese in esame dalla ricerca. Esse sono state selezionate cercando di percepire (attraverso la raccolta delle 69 schede) le differenze tra le avarie tipologie di Comunità (familiari, educative, alloggio per adolescenti e case famiglie), fasce di età dei minori e modalità di gestione.

Tali visite hanno offerto l’opportunità di incontrare e confrontarsi con gli operatori e i responsabili che operano nel settore rilevando le risorse (umanità, professionalità e competenza) e le criticità che  essi affrontano quotidianamente. In tali occasioni, il Garante ha incontrato anche i minori che sono stati accolti nelle Comunità, il che ha permesso di ascoltarne e comprendere le esigenze di chi vive in questa difficile situazione.

Dopo tali confronti sono emerse alcune criticità comuni alle differenti comunità e alcuni suggerimenti di intervento di cui il Garante per l’Infanzia, in ottemperanza alle sue funzioni, si è fatto promotore presso il decisore politico.

Il report emerso (2016) dalla ricerca è stato presentato dal Garante al decisore politico e attraverso nota formale sono state segnalate le indicazioni emerse da problematiche trasversali percepite da educatori e minori ospiti delle comunità educative.  In particolare sono state segnalate:

  • l’opportunità del riconoscimento di un’esenzione dal pagamento delle cure sanitarie;
  • la garanzia della copertura della psicoterapia per i minori ospiti, sia come intervento sanitario rilevante per il minore, sia in un ottica di prevenzione di benessere e spesa futura per la comunità;
  • la necessità di valutare un intervento di sistema, anche con previsioni normative ad hoc, per tutelare i giovani che si trovano in comunità al momento del raggiungimento della maggiore età e che rischiano la compromissione e l’interruzione del proprio progetto scolastico formativo e personalizzato.
  • l’ esigenza di affrontare in una logica di sistema, coinvolgendo le istituzioni preposte, la questione relativa ai tutori dei minori che non sempre sono nella condizione di svolgere adeguatamente il loro impegno.

Per ciò che riguarda specificatamente i minori stranieri accompagnati è stato segnalato al legislatore regionale:

  • come i brevi tempi di permanenza nelle strutture, dovuti all’età di inserimento, spesso prossima alla maggiore età, (circa il 75% dei MNSA sono prossimi ai 18 anni; mentre il 50% dei MNSA è in una fascia di età tra i 17 e 18 anni) non permettono l’attuazione di progetti efficaci per il percorso di autonomia. In tale ottica la sfida proposta dal garante è di ideare percorsi pragmatici che possano accompagnare i MNSA, non vivendo la comunità in modo coercitivo ma in modo da riuscire a creare insieme agli educatori il migliore  percorso possibile che desiderano costruire (transito in altri Paesi o progetti co-costruiti con il minore e la sua famiglie di origine o rete amicale spesso sita nel territorio Europeo).
  • la necessità di rilevare le fragilità psicologiche dei minori stranieri sempre più evidenti e complesse e che richiedono specifiche competenze etnopsichiatriche che si aggiungono alla precoce adultizzazione dei MNSA (Report, 2016).

 

Incontro con il Presidente del Coordinamento delle Comunità di Accoglienza della regione Marche

Con l’assembrale generale del 14 novembre 2012 è stato formalmente costituito il Coordinamento delle Comunità di Accoglienza per Minori della Regione Marche che ha eletto come Presidente Andrea Marangoni dell’associazione Piombini Sensini Onlus di Macerata e vice presidente Fabiana Gara dell’Oikos Onlus di Jesi.

Il coordinamento è sorto grazie alla volontà di 5 enti aderenti tutt’oggi al coordinamento: la cooperativa Lella 2001 di Ascoli Piceno, l’Associazione Piombini Sensini di Macerata, Il C.E.I.S. di Ancona, la Pailes Oikos di Jesi e la cooperativa Pegaso di Pesaro. Questi 5 enti nell’agosto 2012 hanno dato vita all’atto costitutivo a cui si sono poi aggiunti altri enti gestori di comunità per minori di tutte le province della regione Marche. Tali istituti sono attualmente 16 e  gestiscono 27 comunità di accoglienza residenziale per minori sia educative autorizzate con L.R.  n. 20 del 2002, sia terapeutiche autorizzate con L.R.  n. 20 del 2000. Questo gruppo di comunità (27) rappresenta circa 1/3 delle comunità presenti nella regione Marche.

La finalità principe del coordinamento è stata di promuovere nel territorio regionale una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza di reale tutela all’infanzia tentando di  definire delle buone prassi nell’accoglienza di minori e/o madri con bambini in comunità.

Il coordinamento è nato dalla necessità di promuovere nel territorio Marche il confronto tra le varie realtà aderenti e curare e migliorare gli aspetti metodologici delle comunità con una particolare attenzione anche all’analisi della qualità degli interventi educativi, riabilitativi e di autocontrollo.

Per entrare a fare parte del Coordinamento delle Comunità di Accoglienza delle Regione Marche sono stati previsti alcuni criteri che l’ente richiedente deve possedere alla domanda di accesso:

  • criteri legislativi (il rispetto della legge regionale vigente),
  • parametri strutturali e organizzativi (che riguardano il rispetto del personale tramite una contrattualità etica dei soci e/o dipendenti basata su normative rispettose del titolo di studio e del personale al fine di prevenire forme si sfruttamento del lavoro);
  • criteri di cura (uno stile di accoglienza che garantisca qualità nell’inserimento, nella protezione e nella cura dei bambini delle comunità per tutto il periodo di presa in carico).
  • criteri temporali (ossia che l’ente richiedente abbia un’esperienza certificata di accoglienza dei minori di almeno 3 anni).

Questi criteri hanno fatto sì che alcune realtà del territorio non abbiano potuto aderire  al coordinamento e ciò ha creato alcune difficoltà al fine di conseguire un elemento di rappresentatività nei Tavoli di Lavoro. Questa prima fase del lavoro è stata delicata poiché ha tentato di metter in connessione realtà differenti per target di età, strutture e motivazioni differenti.

Attualmente il coordinamento è distribuito nelle 5 province della regione  Marche e in ogni  provincia vi sono almeno due soci che fanno parte del Coordinamento; tale rappresentatività ha permesso una buona diffusione del Coordinamento sul territorio Marche e una maggiore relazione con i servizi territoriali.

Le seconda fase di lavoro del  Coordinamento è stata concentrata nel realizzare la rete insieme agli interlocutori istituzionali: Autorità Giudiziaria ossia Tribunale per i Minorenni e la Procura, la Regione Marche e l’Autorità di Garanzia.

Grazie alla disponibilità del Garante si è potuto avviare un Tavolo di Lavoro sulle problematiche minorili e sulla programmazione della normativa  aperto a diversi interlocutori istituzionali.

Il Tavolo di Lavoro è gestito dalla Regione Marche e vi si accede su invito dell’Assessorato ai Servizi Sociali Regionali.  Usualmente sono presenti il Dirigente del Servizio Sociale, il funzionario Area Minori,  il funzionario relativo alla  Integrazione nel Sociale Sanitario ed i referenti ASUR (Azienda Sanitaria Unica Nazionale) . Inizialmente tali referenti erano 12, oggi le ASUR sono divenute 3 e questo ha diminuito il numero dei soggetti che attualmente partecipano ai Tavoli. A seconda delle tematiche inserite nell’ordine del giorno nel Tavolo possono essere invitati anche altri interlocutori: i referenti delle aree di Integrazione legate all’Immigrazione, il Tribunale dei Minorenni e la Procura, , un rappresentante della Prefettura, un referente del Comune di Ancona e il Coordinamento Regionale presente come referente ufficiale dei Tavoli.

Il Tavolo è lo strumento utile per condividere buone prassi  e  prevede la redazione di un documento che è attualmente in elaborazione. Partendo dalle Linee Guide Nazionali il Coordinamento sta cercando di produrre un Protocollo Operativo che possa rappresentare una buona qualità dell’accoglienza dei minori per le strutture residenziali. Questo lavoro sta procedendo parallelamente all’iter legislativo poiché la Regione Marche sta approvando una nuova legge che definirà i criteri per l’accreditamento per le strutture residenziali per minori e che vorrebbe unificare le due leggi precedenti (L.R. n. 20 del 2002 riguardante le comunità educative di accoglienza residenziale per minori e la L.R. 20 del 2000 concernente le comunità terapeutiche). Questa nuova normativa, oltre alla funzione di autorizzazione per la comunità, ha anche una base per accreditamento degli aspetti che concernano requisiti organizzativi e di strutturazione dei servizi. In questo momento si stanno elaborando i regolamenti attuativi che riguardano gli aspetti più importanti di una buona accoglienza per i minori e concernenti il  numero di ospiti per ogni struttura, tipologia di equipe educativa e formazione del personale.

L’obiettivo è di creare una progettualità partecipata su tutto il territorio della regione Marche  per il preminente interesse del minore ospite di comunità e di creare criteri etici per il rispetto del personale. In merito a tale punto  il 27 febbraio 2017 il Coordinamento presenterà una diffida a tutte le comunità  che non rispettano tali normative contrattuali e gestionali.

A settembre 2016 il Coordinamento ha organizzato  una formazione congiunta ed itinerante (nelle diverse province del territorio) per gli operatori delle comunità attraverso 4 giornate di formazione su alcuni temi generali: accoglienza, progettazione educativa individualizzata,  tema delle dimissioni e rapporto con la famiglia di origine con l’obiettivo di conoscenza  e condivisione tra gli educatori. I feedback sono stati positivi e la partecipazione alta in tutte e 4 le giornate (40/50 educatori per ogni giornata in media).

Il coordinamento con la stessa modalità itinerante sta elaborando un piano per una futura formazione che veda coinvolti anche gli operatori dei servizi socio-sanitari al fine di creare un gruppo di lavoro che possa mettere al centro il preminente interesse del minore nella globalità della sua presa in carico (servizio sociale, comunità , famiglia di origina e tutore o autorità giudiziaria).

 

Premessa: la storia delle eccellenze marchigiane rispetto agli interventi di comunità.

 Il panorama storico delle Comunità nelle Marche.

La storia delle comunità nella Marche nasce dalle esperienze di tre enti storici e di eccellenza. Nel 1964 ad opera di Sabina Santilli sordo cieca dall’infanzia e grazie ad un gruppo di volontari è sorta  ad Osimo la Lega del Filo d’Oro (nome scelto per indicare il  filo prezioso che unisce le persone sordo cieche con il mondo esterno). La mission di tale ente è stata ed è tutt’ora assistere, educare, riabilitare e reinserire nella famiglia e nella società le persone sordo-cieche e pluriminorate psicosensoriali per il miglioramento della qualità della vita della persona.  A tal fine sono state create strutture specializzate con operatori formati e qualificati e si è  posta attenzione all’attività di ricerca, di promozione dei rapporti con istituti di ricerca e di sensibilizzazione degli organismi competenti e dell’opinione pubblica nei confronti di questo tipo di disabilità.

La seconda realtà storica a nascere nel panorama della regione Marche è stata la comunità di Capodarco che ha dato origine a CNCA (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza). Essa è nata nel Natale del 1966 per merito  di tredici persone disabili e un giovane prete, don Franco Monterubbianesi che decisero di iniziare l’avventura di una vita in comune in una vecchia villa abbandonata a Capodarco di Fermo, nelle Marche. Ben presto molti altri ragazzi e ragazze volontari e altri giovani disabili si unirono a loro, scegliendo di vivere in comunità. Dai tredici membri iniziali agli oltre cento del 1970, attualmente  Capodarco assume una dimensione nazionale. Oggi la Comunità è presente  in svariate città e regioni d’Italia, di essa fanno parte centinaia di persone tra comunitari, ragazzi impegnati nel servizio civile, operatori sociali e volontari.

La terza realtà storica a sorgere nella regione Marche è stata il  Ce.I.S. (Centro Italiano di Solidarietà di Pesaro) fondato da don Gianfranco Gaudiano  nel 1976 per gestire, sostenere e organizzare le strutture in spirito di condivisione e in risposta alle varie povertà emergenti nella città. Il Ce.I.S. in questi anni (assieme alla Fondazione don Gaudiano, all’Associazione Amici di don Gaudiano e a tanti cittadini) le ha aiutate a crescere, a radicarsi sul territorio e ad allacciare dei rapporti con le istituzioni pubbliche, perché essi potessero continuare ad essere un punto di riferimento per tante persone in difficoltà. Oggi il Ce.I.S. (oltre a prestare direttamente aiuto negli ambiti dell’assistenza sociale, socio-sanitaria ed economica) attraverso le sue Case, i suoi Centri, e i suoi Servizi, continua ad operare negli ambiti della salute mentale, dell’handicap psico-fisico, dell’immigrazione, delle problematiche connesse all’infezione da hiv/aids, cercando però di rimanere aperto a cogliere le nuove povertà di cui le persone si fanno portatrici.

Incontro con il direttore del Centro Italiano di Solidarietà di Ancona ONLUS: storia delle comunità per minori CEIS e filosofia.

Alessandro Maria Fucili è il direttore del Centro Italiano di Solidarietà di Ancona  Onlus.

L’ associazione possiede il riconoscimento del Presidente della Giunta Regionale e Personalità Giuridica. Dal punto di vista fiscale è un Organizzazione Non Lucrativa con Utilità Sociale. Quale Ente giuridico, il Consiglio di Amministrazione è  l’organo politico e di indirizzo dell’Associazione. La responsabilità è diretta nella persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione. Essa dispone di 15 dipendenti e attualmente gestisce due comunità, con un bilancio annuale di 700 mila euro.

Il Ce.I.S. di Ancona è nato nel 1984, congiuntamente alla Comunità per minori “Lo Zaino”.  Una realtà pionieristica nella Regione Marche e la prima struttura di accoglienza nel capoluogo in  Provincia di Ancona. Nel primo periodo di vita della casa (1984/1989), gli allora soci fondatori e volontari dell’Associazione si stabilirono residenzialmente nella nuova Comunità; l’equipé era costituita da un operatore, un’operatrice ed un obiettore di coscienza che vivevano nella casa insieme ai primi quattro bambini accolti. Tale comunità ha chiuso il 31 dicembre del 1996 ed era in convenzione con il Comune di Ancona.

Il Ce.I.S di Ancona attualmente gestisce due comunità (L’Arca e La casa di Max) per l’accoglienza di bambini e adolescenti con affidamento e provvedimento dell’Autorità Giudiziaria minorile. All’interno delle strutture operano gli educatori (dipendenti dell’Associazione  o tirocinanti) che hanno principalmente una formazione specifica nel settore Psico-Sociale (solitamente laureati in Psicologia,  Pedagogia,  Scienze dell’Educazione o Assistenti Sociali).

La Comunità Arca del Centro Italiano di Solidarietà di Ancona Onlus

La comunità Arca è sorta nell’ottobre del 1989 grazie ad una convenzione pluriennale tra l’Amministrazione Provinciale di Ancona ed il Ce.I.S. di Ancona che ha  permesso di tutelare i bambini in difficoltà provenienti e residenti da piccoli comuni del territorio della Provincia di Ancona.

L’ accoglienza della casa dell’Arca è sempre stata di tipo verticale per cui non è mai stato stabilito un tempo di età previsto per l’ingresso dei bambini in comunità e di conseguenza sono stati ospitati in tale case anche bambini molto piccoli.

L’appartamento dell’Arca è di 156 mq., disposto interamente su un unico piano più il cortile.

Si trova all’interno di un piccolo condominio. Grazie alle relazioni con il vicinato sempre curate negli anni passati ed ancora oggi, la casa è perfettamente integrata in tale micro-contesto. La comunità è ubicata in un piccolo quartiere nel parco del Cardeto all’interno del centro storico di Ancona; dopo il terremoto del ’72 il quartiere si è spopolato e ora vi vivono soprattutto studenti, tale evoluzione ha comportato che la casa sia divenuta una realtà storica della zona.

Dal 1989 fino al 1991 il responsabile Alessandro Fucili insieme ad un operatore in tirocinio post-laurea, viveva presso la comunità in modo stanziante mentre gli altri educatori iniziarono ad essere presenti in turnazione.

L’Arca ospita al massimo 5 bambini. Solo attualmente avendo accolto una fratria di tre  bambini la casa ospita 6 minori con età che vanno dai 9 ai 17 anni.

L’articolazione della struttura prevede anche la possibilità di continuare ad accogliere i minori che già vivono in Comunità da anni, anche oltre la maggiore età, quando non sono ancora autonomi. Un’iniziativa controcorrente  che ha anticipato e risolto un problema che allo stato attuale come riportato dal Garante e dal coordinamento regionale intralcia ed appesantisce il lavoro volto alla tutela dei minori. Tale possibilità è stata permessa dal 1989 al 1998 attraverso la richiesta del prolungamento per neo-maggiorenni; tale possibilità permetteva alla comunità di usufruire anche di un rimborso economico rispetto a tali prese in carico.

Dal 1998 l’intervento del procuratore attraverso una lettura limitante delle leggi regionali ha di fatto tolto la possibilità di prolungare la tutela per neo-maggiorenni(poiché le strutture sono previste per la legge solo per minorenni). Dal 1998 i neo-maggiorenni che necessitano di essere supportati per terminare gli studi o per iniziare un’autonomia vengono inquadrati dalla cooperativa come volontari che frequentano la casa attraverso un’ assicurazione che copre la loro presenza diurna e notturna nella casa.

 

La CASA DI MAX  del Centro Italiano di Solidarietà di Ancona Onlus

È nata nel 1997 come struttura residenziale mista, destinata a dare risposta a quei minori con situazioni di disagio tali da richiederne un immediato allontanamento dal contesto socio-familiare di origine o con urgente necessità di ospitalità, mantenimento e cura su richiesta del Tribunale per i  Minorenni e dei Servizi Sociali Territoriali.

La Comunità per minori  “La Casa di Max” ha una delicata funzione di “filtro” per focalizzare i reali bisogni specifici del minore, al fine di  verificare e progettare un inserimento adeguato in una famiglia adottiva, affidataria o in una  delle strutture esistenti sul territorio regionale o nazionale.  Essa è stata pensata al fine di costruire un momento di verifica e di passaggio del minore ad una situazione più stabile, laddove sia possibile, attraverso il rientro nella famiglia di origine oppure in Affidamento Familiare a famiglia affidataria o in Comunità di tipo familiare per minori.

L’edificio in cui sorge la comunità era di proprietà dell’Istituto Religioso di Ancona fatiscente ed in disuso. Fu rilevata dal Ce.I.S nel 1996 in comodato d’uso gratuito per un periodo di 20 anni in cambio dell’ingente costo di ristrutturazione, e messa a norma, che fu sostenuto dal CeIS Ancona ONLUS. Attualmente  la comunità è in affitto dal primo gennaio 2017.

È  ubicata nel centro storico di Ancona, presenta tutti i requisiti previsti dalle normative regionali e nazionali e svolge, all’interno dei suoi 330 mq.  due diversi tipi di servizio ai minori:

  1. Comunità educativa per minori (di ambo i sessi) compresi in una fascia di età tra 0 e 18 anni. La casa è dislocata su due piani di una palazzina ristrutturata e con uno spazio riservato alla struttura di 220 mq. e possiede un ampio giardino di oltre 3.000 mq.  I minori vengono inseriti su indicazione del Tribunale Minorenni e dei Servizi Sociali Territoriali dopo che il Servizio Territoriale ha provveduto ad inviare una Relazione Socio-Ambientale relativa al minore, comprendente anche un’ipotesi sul futuro progettato per lo stesso. L’ingresso avviene in base all’approvazione di un progetto valutato e concordato con l’Equipe del Ce.I.S. di Ancona Onlus.  Possono essere accolti un numero massimo di 8 minori contemporaneamente; questi  resteranno in Comunità per il tempo necessario da permettere al Tribunale Minorenni ed ai Servizi, di progettare soluzioni adatte alla situazione, senza l’urgenza di ricorrere a soluzioni tampone.  Attualmente sono ospitati 8 bambini ed adolescenti con età che vanno dai 9 ai 18 anni.
  2. Affidamento diurno per minori che si svolgono attraverso gli spazi della biblioteca della Casa, ( 110 mq) la Carbonaia ( 140 mq di vasta area completamente ristrutturata adibita a sala riunioni, sala polifunzionale come anche da laboratorio di ceramica) ed il giardino con piscina e  giochi per bambini (scivoli, altalene). Tale percorso è stato pensato per quelle situazioni familiari dei quartieri limitrofi,  tali da non necessitare di una completa residenzialità dei bambini ma di un sostegno strutturato e completo per un periodo piuttosto lungo della giornata (9,00-20,00).

Anche la Casa di Max prevede la possibilità di continuare ad accogliere i minori che già vivono in Comunità da anni, anche oltre la maggiore età, quando non sono ancora autonomi attualmente attraverso l’inquadramento dei ragazzi come volontari che frequentano la casa.

 

La storia del gruppo di lavoro del Ce.I.S. di Ancona, dei bambini e degli adolescenti accolti.

La storia del CEIS di Ancona ha una durata di 32 anni e ha permesso l’accoglienza di oltre 200 minori, per periodi di accoglienza residenziale  che variano da un minimo di alcuni mesi a molti anni,  sempre con affidamento e provvedimento dell’Autorità Giudiziaria minorile.

Il gruppo di lavoro del CEIS Ancona è nato nel 1984 con una struttura familiare allargata composta da madre (pedagogista) e due figli (Alessandro e Cristiana Fucili); unitamente a tali membri era da subito presente lo psicologo Marco Balestra, che è ininterrottamente dalla fondazione, il Presidente dell’associazione, una pedagogista, divenuta poi la prima Garante dell’Infanzia della Regione, ed una educatrice. Sono ancora presenti, come dipendenti dell’associazione, due educatori assunti nel 1991 ed altre due educatrici presenti oggi da oltre 14 anni.  Successivamente, negli anni ’90, entreranno altri soci volontari nel consiglio di amministrazione, come la dottoressa Bernardini. Marco Balestra ha sempre svolto il ruolo di psicologo volontario di riferimento per il lavoro  delle Equipe

Tali presenze storiche hanno permesso di creare un gruppo stabile che è perdurato nel tempo. Il numero dei dipendenti attualmente è 15. Circa 1/3 del personale è presente almeno dagli anni 1990. Tale continuità ha avuto ed ha tutt’oggi un rimbalzo su tutti i ragazzi ospiti che osservano e percepiscono la stabilità del gruppo e le sue forti radici attraverso le foto appese nelle case e grazie alle feste annuali che si organizzano per ritrovarsi con tutti gli ex ragazzi e curare i rapporti con  le loro nuove famiglie affidatarie e/o di origine.

Tale solidità del gruppo operatori ha posto le basi per la filosofia ed il modello di intervento delle due comunità ossia un modello familiare e relazionale.  Attualmente tale modalità di accoglienza di tipo familiare è proseguita sia per il legami familiari (fratellanza) dei due responsabili delle due case (Alessandro Maria Fucili: responsabile della Casa di Max e Cristiana Fucili, responsabile dell’Arca) ma anche grazie alla costante attenzione posta dai responsabili nel cercare di ricreare uno spazio familiare attento ai bisogni primari dei piccoli ospiti.

L’attenzione al gruppo operatori, al gruppo minori ospiti  e alla compatibilità.

Le singole strutture (Arca e Casa di Max) sono seguite e coordinate da un  Responsabile per ogni Comunità (soci del Ce.I.S. Ancona: Cristiana e Alessandro Fucili), dal Direttore del Ce.I.S. Ancona e dalla Coordinatrice (dipendente dell’Associazione). All’interno delle strutture operano direttamente gli educatori (dipendenti dell’Associazione, o tirocinanti) che hanno principalmente una formazione specifica nel settore psico-sociale. Per la selezione del personale (Responsabile Alessandro Maria Fucili) il maggior numero di curriculum provengono da Psicologi, Assistenti Sociali,  laureati in Sociologia o Pedagogia, e più raramente Scienze dell’Educazione.

Il tema del gruppo nella regione Marche ha una sua specificità poiché permette di non vincolarsi necessariamente al titolo di studio dell’educatore professionale. Nella regione Marche attualmente per l’autorizzazione al funzionamento non è previsto l’accreditamento e perciò non vige il criterio obbligatorio che stabilisce che a determinate caratteristiche e funzioni equivalgono titoli e qualifiche specifiche come ad esempio la laurea in scienza della educazione. La possibilità di scelta è più ampia rispetto ad altre regioni italiane e legata a diverse professionalità.

Unitamente a questo livello normativo la solidità del gruppo e la sua stabilità hanno permesso di avvicinare alle comunità operatori che non avevano alcuna esperienza nella vita di comunità sostenendoli con una funzione di tutoring per il percorso di inserimento (circa due mesi) e ponendosi (l’educatore esperto) come figura di riferimento.

Fino al 2000 entrambe le strutture hanno avuto dei gruppi consolidati che sono cresciuti insieme nel tempo; nello specifico l’Arca ha avuto il gruppo più stabile formato da poche educatrici che disponevano dell’aiuto di ragazzi provenienti dal servizio civile o da tirocini universitari. Tale modalità ha permesso di seguire al meglio il piccolo gruppo di 5 bambini ospiti e creare una realtà attorno ad essi riconoscibile, stabile e quindi il più familiare possibile poiché tutti i bambini erano inseriti con una progettualità lunga. Il servizio civile e gli obiettori davano una possibilità di conoscenza delle persone che si sarebbero potute assumere nel futuro e permettevano sia una economicità che una potenzialità importante. Il tempio medio di permanenza di una educatrice- educatore è di oltre 15 anni con picchi di oltre 20.

La casa di Max dal 1997 è destinata a ragazzi per periodi solitamente più brevi e negli anni ha avuto una maggiore alternanza del personale e dei ragazzi ospiti. La logica apparente che è emersa negli anni è che a grande turn over dei ragazzi corrisponde turn over degli educatori. In questa casa vengono inseriti bambini e ragazzi per i quali le permanenze sono brevi e di accompagnamento all’affidamento e/o adozione. Le molteplici separazioni sono state un indicatore di turn over negli educatori. Per tempo medio di permanenza di un educatore educatrice si intende un periodo di 6-8 anni con picchi di 12.

Inizialmente il personale veniva selezionato ricercando persone già formate e con esperienza; attualmente uno dei criteri per la scelta del personale è la preferenza di educatrici/ori appena laureati sia per l’energia rivitalizzante che spesso portano al gruppo esistente, sia perché permettono un tutoraggio ad hoc e convergente sull’obiettivo e sul modello familiare che sottendono il lavoro nelle due comunità.

Al presente,  il tirocinio universitario è la modalità che permette di valutare la persona da selezionare attraverso la possibilità di disporre di un tempo discretamente lungo per osservarla; se la persona che si candida non è uno studente la comunità attiva un periodo di osservazione di due mesi attraverso un inquadramento come volontario con assicurazione.

In tali periodi di osservazione, affiancamento e tutoraggio vi sono analisi costanti da parte dei responsabili sia rispetto alla vita in comunità nella sua quotidianità e routine della giornata dei ragazzi (sveglia, colazione, accompagnamento, preparazione di pasti, sostegno compiti fino alla messa a letto) ma anche attraverso l’osservazione di situazioni non ordinarie, turni in ospedale dal minore se ricoverato o gite al fine di capire la tolleranza dei futuri educatori rispetto agli eventi stressogeni e inusuali della vita.

Oltre allo strumento dell’affiancamento del futuro educatore per la maggiore attenzione possibile alla compatibilità dei gruppi di lavoro vi è una osservazione anche nel gruppo di supervisione.

L’analisi e l’osservazione dei movimenti spontanei dei futuri educatori e della loro  compatibilità al gruppo avviene attraverso tre fasi di valutazione; il primo step avviene attraverso un colloquio con Cristiana Fucili (sia per motivi di genere: essendo l’80% delle richieste e del personale formato da donne così come il gruppo operatori esistenti, sia per avere più punti di vista sulla persona da selezionare); in seconda fase avviene il monitoraggio sul campo attraverso l’osservazione del tirocinio (da parte di Alessandro Fucili) che permette l’osservazione nella realtà strutturata di vita in comunità ed extra-ordinaria e in terza fase avviene attraverso una valutazione del supervisore e concerne  la lettura delle dinamiche di gruppo e dei ruoli dei suoi componenti. Tali analisi valutative evitano nel lungo termine le difficoltà a licenziare educatori non capaci di integrarsi al gruppo educatori e con i minori ospiti.

I due gruppi di lavoro (Arca e Casa di Max) sono differenti sia per età anagrafica sia per tipologia di struttura del gruppo dei bambini che ospitano (Arca ospita bambini a lunga permanenza mentre la Casa di Max più breve). I due gruppi sono coesi invece per modello di supervisione e formazione.

Integrare persone con esperienza trentennale con persone nuove è stato un passaggio difficile nella storia della comunità ed è stato grazie all’aiuto del supervisore che si è potuto capire come pensarlo al meglio, costruire buone prassi di assunzione e anche come delegare, strutturando e chiarendo i passaggi del lavoro per fidarsi al meglio delle nuove persone che entravano a far parte dello staff. Fondamentale si è rilevato il centraggio sulla responsabilità del proprio lavoro che se fatta con cura permette di passare alcune consegne e responsabilità.

La presenza dei responsabili è stata inizialmente stanziante e residenziale nelle due case ma negli ultimi 8 anni è andata sempre più diminuendo, maturando l’idea che più distanza potesse permettere di fare emergere capacità di leadership nuove anche nel gruppo educatori e presa in carico maggiormente responsabile dello staff educativo.

Rispetto a tali processi la compatibilità degli educatori è un punto fondamentale; contemporaneamente  a tale indice per il responsabile è fondamentale anche la compatibilità del gruppo dei ragazzi ospiti.

Le richieste di ingresso del minore arrivano direttamente al responsabile Alessandro Fucili che inizia ad immaginarle nella loro evoluzione, inizia a pensare alle risorse che occorrono per la migliore presa in carico possibile e ad immaginare il rimbalzo sul gruppo dei ragazzi già presenti, sulle loro possibili alleanze e sui loro futuri.

I criteri per l’accettazione degli ingressi sono l’attenzione a chi è già accolto dei ragazzi e al gruppo operatori unitamente alla valutazione temporale del percorso del minore in ingresso, ossia se l’accoglienza avrà dei temi lunghi (in questo caso il minore verrà accolto presso la casa dell’Arca ) oppure se il progetto prevede un supporto al bambino di breve durata (in questo caso verrà ospitato presso la Casa di Max.)

Incontro con la responsabile della Comunità Arca del Centro Italiano di Solidarietà di Ancona Onlus: il modello familiare dell’accoglienza e la sua evoluzione nelle comunità

Cristiana Fucili è entrata nel gruppo CEIS di Ancona dal 1990 gradualmente e definitivamente nel 2000. È responsabile della comunità Arca.  Inizialmente ha lavorato alla comunità Lo Zaino; tale struttura era del Comune di Ancona e da esso ammobiliata. Era una casa essenziale e caratterizzata da mobilio scarno e dallo stretto necessario. Lo Zaino accoglieva adolescenti al limite della devianza e solo maschi. L’arredo era di proprietà del Comune di Ancona e gli acquisiti dovevano seguire una procedura amministrativa burocratica complessa.

Successivamente nella comunità Arca la responsabile ha iniziato ad accogliere bambini più piccoli in età di asilo e ha impostato una attenta riflessione e sperimentazione su come l’accoglienza si potesse centrare sui bisogni primari dei bambini ospiti e a come realizzarla.

L’ambiente casa è stato quindi ricercato con accuratezza perché potesse divenire il più possibile un ambiente familiare, curato, pulito, ordinato e piacevole per i bambini oltreché  perturbante delle situazioni che avevano vissuto.  L’obiettivo principe è stato di restituire, fare conoscere e sperimentare sensazioni piacevoli all’ospite della casa attraverso il calore, l’affetto, i colori, le morbidezze degli arredi soffici, la conoscenza di differenti materiali curandone scelta, stato del mobilio e degli arredamenti costantemente.

Tale considerazione è stata posta a tutti gli ambienti della comunità per renderla una casa e un luogo in cui percepire la propria appartenenza. Tali analisi sono state fatte a partire dalla camera dei giochi interni ed esterni alla casa, al loro posizionamento perché fossero accessibili, alle camere da letto (personalizzate con lenzuola, imbottite, tende, tappeti colorati e stampati) e a tutti gli altri ambienti come cucina, terrazzi, sale e bagni.

Riconoscere che i bisogni primari nelle storie di questi bambini spesso non erano stati colti, poter pensare di perturbare situazioni di trascuratezza grave di tali bisogni e disordine caotico o sporcizia anche estrema con atti professionali e affettivi di cura, di  pulizia dello spazio attorno a loro, di ordine e  quindi di un’attenzione allo spazio che li circondava nella loro vita e nella loro casa ha permesso alla responsabile di notare come tali azioni sono nel breve termine apprezzate dai bambini e nel medio e lungo termine perturbano i modelli appresi precedentemente e pongono le basi per salvaguardare la futura genitorialità degli ospiti che diventeranno adulti e genitori reali e/o simbolici.

Il rinnovo degli ambienti delle case avviene ciclicamente, una volta alla settimana la responsabile fa la spesa e porta accessori nuovi. Essi vengono posizionati con i bambini. Tale azione permette di percepire la casa come propria e di rafforzare il bisogno primario di appartenenza ossia di “sentirsi a casa”.

Anche l’ambiente esterno soprattutto con l’arrivo della primavera viene curato con fiori e giochi esterni.

Tale modalità di lavoro ha permesso di coinvolgere gli ospiti anche nella scelta dell’arredamento della casa,  nella cura del giardino, nella semina e in laboratori di ceramica che permettono di creare manufatti di arredo nella carbonaia. Tali prodotti artigianali curati e di design diventano parte della casa, abbellendo di volta in volta spazi differenti:  il terrazzo, la cameretta dell’artista o il giardino e tali oggetti, permettono di rivivere guardandoli tutto il percorso creato insieme (scelta dell’oggetto, lavoro dell’argilla, lavoro della ceramica, scelta della sua collocazione).

Le case, i giardini e ogni elemento delle abitazioni è curato e pensato per rispondere ai bisogni primari dei bambini al fine di caratterizzare e personalizzare ognuno degli ambienti di vita dell’ospite fissandolo ad uno stile familiare riconoscibile dal bambino o bambina e recuperabile anche in ogni relazione della comunità.

Il rapporto con le famiglie affidatarie/adottive dei minori accolti

Dal 1984 ad oggi, il numero di ragazzi ospitati in comunità del CEIS Ancona è di circa 200 minori. Nel 60% dei casi (circa 120 minori) questi bambini e ragazzi (principalmente attraverso il percorso della casa di Max o anche dell’Arca) sono stati supportati dagli educatori per essere inseriti in famiglie affidatarie o adottive.

Al fine di mantenere i rapporti con i ragazzi usciti dalle loro case i responsabili delle comunità da 7 anni organizzano una festa nel cortile della Casa di Max invitando tutti gli ex ragazzi, le loro famiglie affidatarie/adottive o di origine (solitamente esse non accompagnano i ragazzi e questi casi sono il 40% dei bambini ospitati, circa 80 ragazzi).

Attraverso questo ritrovo i “vecchi” bambini ormai divenuti adulti hanno la possibilità di rivedere la loro vecchia casa,  ritrovarsi nelle foto appese (vi è almeno una foto di ogni ospite che è stato accolto); coloro che sono divenuti genitori possono mostrare le loro foto e narrarle  ai propri figli e spesso partecipano numerosi e desiderano rivedere le stanze in cui dormivano (usualmente dichiarano di ricordarle differenti).

I responsabili sono rimasti in contatti con almeno 180 dei ragazzi ospitati nel tempo (ossia quasi tutti quelli rimasti nel territorio Marche). La modalità di lavoro a matrice familiare e relazionale unitamente alla stabilità dell’equipe (5 operatori lavorano in comunità da almeno 30 anni) ha permesso grazie a face book e alle nuove tecnologie di poter custodire i legami e portarli avanti in una genitorialità simbolica che non si è interrotta con l’uscita del “figlio” dalla casa ma continua nel tempo al bisogno (per richieste dei ragazzi di aiuto in momenti difficili o produzione di documenti inerenti il passato) o per la gioia di rivedersi e ritrovarsi annualmente.

Tali riconoscimenti dell’educatore significativo, del modello relazionale familiare, della casa come luogo di appartenenza da parte degli ex minori accolti sembrano avere permesso in queste storie una discontinuità rispetto ai modelli precedenti (trascuratezza grave, maltrattamento, violenze ed abusi) e sembrano avere rimesso in moto funzioni genitoriali, di coppia e di capacità di chiedere aiuto al bisogno, fondamentali e protettive per i ragazzi oggi ormai adulti e/o genitori.

La comunità non dispone al momento di una documentazione ufficiale di tutti i casi ma  per la percezione e le conoscenze dirette dei responsabili su 200 ragazzi  circa 10 oggi sono divenuti genitori. In tale genitorialità non vi è stata la riproduzione della violenza ma solo in un caso vi è in atto una separazione estremamente conflittuale.

Il rapporto con le famiglie di origine dei minori accolti

Storicamente il rapporto con le famiglie di origine è stato considerato di pertinenza dei servizi e il compito delle Comunità del CEIS Ancona in tale dinamica era regolamentato in modo rigido e strutturato dalle prescrizioni che servizi e TM assegnavano (incontri protetti, loro frequenza e durata  e gestione delle telefonate con le famiglie di origine).

Negli ultimi 5 anni la presa in carico del bambino o del ragazzo ha previsto contemporaneamente la presa in carico da parte della Comunità della gestione dei rapporti con la famiglia. I responsabili hanno iniziato a ripensare e sperimentare che l’alleanza con il genitore avrebbe potuto comportare una presa in carico globale e un  lavoro migliore sia nella relazione quotidiana con il figlio accolto in comunità, sia per il suo futuro inserimento nell’ambiente di origine o nella famiglia affidataria.

A tal fine la struttura della casa è stata rivista e si è creato uno spazio ad hoc per poter svolgere e seguire gli incontri genitori e figli in comunità. Si è attrezzata una sala con telecamere e un’altra stanza è stata dotata di monitor per videoregistrare gli incontri protetti e seguirli dallo schermo.  Tale esigenza è nata dall’esperienza degli  accompagnamenti negli anni dei bambini in spazi neutri dai servizi in stanze squallide, fredde e con persone sconosciute. Gli incontri con le famiglie di origine sono spesso dolorosi e faticosi per il minore e l’obiettivo dei responsabili è stato di renderli il più produttivo possibile sia per la relazione tra genitore e figlio sia per la progettazione e la scelta degli interventi educativi futuri (rientro in famiglia, affidamento, adozione o comunità familiare).

La metodologia con cui tali incontri si svolgono è di proporre al genitore almeno 8 incontri videoregistrati di circa 2 ore condotti da un’educatrice specializzata (ex educatrice CEIS) mentre il responsabile e alcuni educatori seguono il colloquio in sala monitor.

L’obiettivo è di attivare una relazione positiva tra le parti, creare momenti di pensiero e riflessione di ciò che è accaduto nel passato e creare percorsi di attività comuni e piacevoli tra genitore e figlio al fine di riattivare la genitorialità interrotta.

Le tecniche utilizzate sono:

–           il video feedback (attraverso una riflessione richiesta al genitore a ogni conclusione di incontro si domanda cosa secondo lei/lui è stato positivo e cosa meno e poi, nell’incontro successivo vengono mostrati al genitore frame di video scelti dall’educatrice per capire cosa vi è stato di maggiormente critico per la percezione dello staff educativo);

–           il gioco delle emozioni (un gioco da tavolo con pedine tramite il quale quando la pedina finisce in una casella emotiva (ad esempio rabbia, gioia, delusione..) ogni giocatore per arrivare alla meta deve verbalizzare quando pensa l’altro si sia sentito così. Oltre alle caselle delle emozioni l’educatrice vi ha aggiunto una serie di domande stimolo e specifiche per far comprendere la vita di comunità e le sue emozioni  ad entrambe le parti (come immagina si senta in comunità suo figlio? come pensi si senta il genitore mentre vivi in comunità?).

Altri strumenti utilizzati dalla metà dal 4° incontro circa sono:

–          le attività da fare insieme (giocare, leggere) cercando di dare un ruolo sempre più attivo al genitore attraverso compiti a casa sempre più complessi: scegliere il gioco per l’incontro successivo, portare un gioco da casa (gioco casetta, animali o della famiglia, crete o oggetti manipolabili);

–          predisporre un’attività da fare con il bambino;

–          cucinare insieme seguendo una ricetta e con gli ingredienti portati dal genitore.

Per le esperienza dei responsabili attraverso tali modalità anche i bambini più piccoli sono riusciti a narrare il passato (inscenandolo attraverso il gioco davanti al genitore episodi violenti avvenuti oppure, attraverso il meccanismo della proiezione, i bambini sono riusciti a verbalizzare i propri bisogni facendo chiedere al “bimbo mucca” alla “mamma mucca” perché lo ha trascurato o a spiegarle le sue paure dell’essere stato abbandonato). Tali tecniche nel tempo hanno permesso anche a genitori anaffettivi di iniziare a poter descrivere parti del proprio figlio e di iniziare a vederlo in tali emozioni anche con tante difficoltà.

Inoltre, l’avere predisposto l’ accesso a luoghi caldi, curati e di vita quotidiana come l’utilizzo della cucina e del gioco in ambienti interni di vita (salotto con poltrone, tavolino, libreria  e giochi) ed esterni (in giardino) hanno permesso al genitore di recuperare una dimensione di genitorialità  nella quotidianità con i propri figli differente dall’incontro protetto classico esterno.

Tutti gli incontri vengono attentamente osservati e relazionati al TM in modo che il giudice possa disporre di tutti gli elementi per comprendere e decidere quale progetto può essere la strada migliore da attivare per quel bambino e la sua famiglia. Questi incontri normalmente avvengono con un genitore alla volta e il bambino soprattutto nei casi di separazione e, raramente, con entrambi i genitori.

 

Incontro con il formatore e supervisore delle Comunità CEIS di Ancona:l’evoluzione della formazione e della supervisione ed il modello concettuale di riferimento.

Il rapporto di formazione e supervisione nasce nel  1989. Il Dott. Giampiero Ferrario entra in contatto con il CE.I.S di Ancona attraverso la richiesta di un corso di 5 giornate di Formazione sull’Affidio al C.A.M (Centro Ausiliario per i problemi minorili) di Milano di cui egli fa parte.

Il C.A.M è un’ associazione di volontariato, nata nel 1975 su iniziativa del Tribunale per i Minorenni di Milano per svolgere gratuitamente e per soli fini di solidarietà sociale le attività ed i servizi richiesti dal Tribunale minorile, dai Giudici Tutelari e dalle Pubbliche Amministrazioni a favore dei minori in difficoltà. Nel tempo il CAM ha allargato le proprie aree d’intervento nei vari settori dell’assistenza minorile: sono nati così l’Ufficio scuola, l’Ufficio Affidi Familiari (di cui fa parte il supervisore), quello delle consulenze legali, civili e penali, il settore Borse di avviamento al lavoro, il settore per la formazione non solo delle famiglie che si offrono per l’affido, ma anche degli operatori dei servizi sociali e degli insegnanti. Contemporaneamente è stato dato impulso ad attività di studio e ricerca che hanno portato a numerose pubblicazioni e convegni.

Oltre alla funzione di volontariato il CAM si avvale della consulenza di formatori specialisti, psicologi, magistrati, tecnici della comunicazione, assistenti sociali, docenti, realizzando così un’ integrazione tra il privato sociale e il servizio pubblico.

Tra i formatori del CAM in quel periodo vi erano Stefano Cirillo, Fabio Ghezzi, e Matteo Selvini ossia nomi di prestigio delle terapia sistemico-familiare e anche l’attuale supervisore del Ce..I.S di Ancona. Dopo la conoscenza tramite le prime 5 giornate di formazione, al supervisore vennero richieste dal CEIS di Ancona, in quanto formatore esperto del CAM, alcuni approfondimenti formativi sulle tematiche dell’affido familiare e della tutela minorile. Egli contemporaneamente lavorava presso il consultorio di Ozzano e vi si  occupava di affido famigliare e tutela minorile.

In particolare, la prima fase di lavoro con il CEIS (dalla fine anni ’90, all’inizio degli anni 2000)  è stata di informazione e formazione ed è durata circa 10 anni. Il supervisore sceglieva con i responsabili delle comunità (Arca e Casa di Max: Cristiana e Alessandro Fucili) alcune tematiche inerenti la tutela e l’affido alla comunità dei minori ospiti e tali temi venivano approfonditi nei gruppi educatori attraverso incontri di informazione e formazione. In tale periodo si è creato un percorso formativo comune alle due comunità (attraverso un’unica matrice sistemica – relazionale e attraverso lo stesso formatore per i due centri) e anche per i servizi nel settore pubblico del territorio di Ancona .

La seconda fase di lavoro è iniziata intorno al 2000 attraverso una richiesta del CEIS di consulenza formativa a tema organizzativo rivolta sia allo staff dirigenziale che alle due équipe educative. Tale formazione è stata centrata su tematiche organizzative specifiche (procedure, progettazione, schede di valutazione, schede di osservazione, stesura delle relazioni). Tale consulenza si è svolta attraverso alcune giornate di formazione (circa 5 all’anno).

Successivamente, nel rapporto vi è stato un intervallo di 3 anni circa attraverso un rapporto di rare consulenze in risposta a domande specifiche del gruppo “al bisogno”.

Nel 2010 circa la richiesta da parte del CEIS si è modificata ulteriormente ed è divenuta una richiesta di supervisione sui casi dei minori accolti nelle due comunità. Attualmente la supervisione è di 6 incontri all’anno con alcune intensità maggiori a seconda della situazione organizzativa ed economica. La supervisione è attualmente centrata sulla modalità di presa in carico dei minori ospiti, sulla lettura del comportamento e dei bisogni dei bambini accolti e fornisce indicazioni per l’intervento educativo al fine di perturbare schemi relazionali disfunzionali.

La formazione del supervisore è di tipo relazionale-sistemica e rispetto a tale modello ha tentato di rileggere l’organizzazione del sistema comunità familiare, del suo funzionamento (ruolo e dell’educatore e coordinatore) e della mission ossia su quali idee essa nasceva e si ancorava esplicitamente ed implicitamente.

A tal fine si sono strutturati due momenti per ogni supervisione.

Il mattino il lavoro della supervisione concerne le tematiche e i vissuti portati dagli educatori, rilettura delle proprio storie e dei rimbalzi emotivi attivati dal lavoro educativo; il pomeriggio il lavoro si focalizza sull’analisi dei casi attraverso un modello di lettura sistemico relazionale che si ancora al disvelamento dei giochi familiari interni alla famiglia di origine del minore accolto, alla modalità di comunicazione tra i membri della famiglia (paradossale, psicotica, invischiante o ambivalente) e ai ruoli dei suoi componenti.

La complessità del lavoro di sostegno all’équipe educativa, secondo il supervisore, ha riguardato sia il livello di compromissione dei bambini accolti che il sistema famiglia di origine (attraverso un lavoro più puntuale come descritto negli ultimi 5 anni)  e il sistema tutela che vi ruota intorno. Tale lavoro nei diversi livelli della presa in carico ha portato alla luce alcuni conflitti tipici di questa fase di lavoro.

La comunità rispetto ad altri sistemi (tutori, scuola, psichiatria, assistenti sociali) attraverso la lettura dei casi in supervisione produce spesso una lettura più dinamica, più avanzata e ripartiva rispetto ad una lettura esterna minimizzante e a volte rigida. Tale conflitto (tra punto di vista interno della comunità e punto di vista esterno delle istituzioni che ruotano intorno al minore) ha comportato conflitti e triangolazioni e ha rischiato di portare a situazioni di immobilità, frustrazione o stallo il cui rischio è di evolvere in danni ulteriori nelle storie di questi ragazzi.

Tali triangolazioni (per l’approccio del CAM nel lavoro con le famiglie affidatarie a cui il supervisore si ancora) viene superata attraverso l’invito a partecipare ad un incontro tra le varie parti. In tale colloquio con presenti o meno la famiglia affidataria (se è possibile), il supervisore  del CAM, i servizi sociale, psichiatria o sert rilevano le difficoltà della famiglia affidataria e come esse sono state valutate dal gruppo CAM. Tale lettura, la messa in circolo delle difficoltà, la condivisione dei punti di vista permette di creare  delle triangolazioni positive con possibilità di cambiamento evolutivo poiché le istituzioni hanno imparato a dialogare nel tempo sia formalmente che informalmente e tale modalità permette triangolazioni positive in grado di licitare cambiamenti.

Nel lavoro con le comunità del CEIS tale possibilità (seppure riconosciuta come buona prassi dal supervisore) non è stata attivata e impatta nell’impossibilità di creare questo triangolo virtuoso poiché il supervisore non è riconosciuto nell’ambito della rete dei servizi come potenziale anello importante per consentire alla rete di funzionare al meglio.

Per superare tale impasse l’intervento del supervisore è stato centrato nel sostenere gli educatori per trovare forme di comunicazione con le istituzioni il meno dannose possibile al fine di creare un intervento riparativo per il minore accolto.

Gli strumenti forniti dal supervisore all’educatore nella quotidianità sono stati costruiti attraverso la rilettura e l’analisi delle storie dei bambini accolti e traumatizzati dalla violenza vissuta. Il primo passo è stato cercare di rendere tali storie narrabili e de-colpevolizzanti per il minore, il lavoro è stato centrato sulla verbalizzazione di agiti auto ed etero distruttivi e sul rafforzamento della capacità riflessiva del minore.

L’obiettivo è stato da un lato, creare una storia narrabile e contemporaneamente  un educatore maturo, che la potesse ascoltare senza colludere con i dolori di queste storie e rischiando di divenire abusante. Per sostenere tale lavoro il supervisore con i responsabili ha creato delle prassi accurate per  la selezione del personale in ingresso ed ha lavorato con lo staff già esistente per implementare le capacità affettive e relazionali per la presa in carico dei bisogni dei bambini.

Incontro con la psicoterapeuta dei minori ospiti delle comunità del CEIS Ancona

Da 3 anni Cristiana Vitali è la psicoterapeuta dei bambini e degli adolescenti delle due comunità del CEIS di Ancona. È psicoterapeuta ad indirizzo analitico transazionale e ha seguito in totale 5 ragazzi e attualmente ne ha in carico 3. Il più lungo dei suoi interventi psicoterapeutici è durato 3 anni ed è oggi in fase conclusiva e perdura mentre la ragazza non è più ospite della comunità ma in affidamento.

La psicoterapeuta ha seguito sia bambini che adolescenti.  Il setting terapeutico prevede  una  presa in carico settimanale salvo momenti di crisi in cui viene intensificata la frequenza degli incontri.

Le prese in carico sono spesso complesse e riguardano bambini con traumi importanti dovuti a maltrattamenti, abusi, violenza assistita e separazioni multiple. Lo spazio terapeutico , nel suo studio privato permette di creare uno spazio neutro per portare ciò che il minore desidera e poter essere realmente come è.

Prima di prendere in carico un caso la terapeuta si incontra con i responsabili Alessandro e Cristiana per stabilire l’obiettivo del lavoro, leggere la loro domanda e capire perché pensano che per quel bambino sia necessario un percorso terapeutico. Si stabiliscono le modalità operative (giornate e frequenza degli incontri) e poi la terapeuta svolge alcuni colloqui di valutazione per capire se il progetto pensato è fattibile.

In caso positivo la terapeuta inizia la presa in carico del bambino/ragazzo nel suo studio privato.

Non incontra mai le famiglie di origine ma lavora di volta in volta con il mondo interno del bambino e con ciò che egli porta tramite il gioco o le narrazioni in seduta. Attraverso tale modalità la terapeuta permette la  rielaborazione del passato e la rilettura delle sue derive nell’attualità delle relazioni con gli educatori, con la terapeuta o altre figure significative. Lavorando con bambini che spesso hanno gravi disturbi dell’attaccamento ciò che la terapeuta ritiene elementi fondamentali nel lavoro terapeutico sono: creare una relazione in cui essi possono esprimersi liberamente, iniziare a formulare nessi logici per ricostruire la propria storia, esprimere il vissuto emotivo attraverso il gioco e poi la narrazione di sé stessi, dell’altro (madre o padre), della loro relazione, di ciò che è accaduto e di ciò che il minore vuole divenire. La differenziazione tra sé e i componenti della famiglia e la de-colpevolizzazione di quanto accaduto sono anche elementi importanti.

Tale relazione terapeutica può  far maturare l’idea nel bambino di meritare e di avere diritto ad un’altra famiglia e un’altra opportunità nella vita pur mantenendo relazioni con la famiglia di origine. Dopo un’attenta creazione della relazione terapeutica e curativa in situazioni di sicurezza (setting terapeutico ed interruzione del trauma nella vita nel contesto comunità) la terapeuta potrà iniziare il lavoro di trasformazione delle memorie traumatiche e di rielaborazione dei traumi e dei lutti da esso derivati.

I rapporti con i responsabili della comunità una volta preso in carico il minore sono solitamente di un incontro al mese per alcuni minori e una volta alla settimana per altri ragazzi. Questo avviene soprattutto per i casi di adolescenti con urgenze e agiti importanti che richiedono contatti più frequenti.

Tutti i minori sono informati di tali colloqui con i responsabili, la terapeuta concorda con essi cosa può riportare se il ragazzo è adolescente mentre se sono bambini piccoli la terapeuta spiega che incontrerà i responsabili poiché essi sono preoccupati e vorrebbero capire come sta il minore.

Nella seduta successiva all’incontro con i responsabili, la terapeuta restituisce quanto condiviso con loro e alcune letture che possono riguardare (se i ragazzi sono in grado di leggerle) le alleanze che i ragazzi cercano di mettere in campo: alleanze seduttive, manipolatorie o alleanze contro gli educatori.

Lo spazio e il setting dello studio privato aiutano il ragazzo ad affidarsi e a costruire un’alleanza terapeutica poiché forniscono garanzia di continuità con il terapeuta rispetto ad una presa in carico del servizio pubblico spesso a bassa frequenza di colloqui o soggetto a turn over dei tirocinanti terapeuti.

 

Incontro con gli educatori della comunità del CEIS Ancona: Claudia Argentati, Raffaele Pepi, Raffaella Esposto, Edoardo Hinna.

Gli educatori intervistati sono stati 4 e sono tutti giovani adulti. Un’ operatrice è entrata tramite percorso di servizio civile e lavora ormai da 12 anni presso l’Arca.

Gli altri 3 operatori lavorano in media da 4 anni. Tutti hanno svolto il periodo di tirocinio (universitario o volontario) presso la comunità Arca e poi sono stati diversificati tra le due case di accoglienza. Sono stati formati e affiancati dagli educatori storici nella quotidianità e quasi tutti inizialmente sono stati associati a bambini o fratellanze specifiche. Attraverso tale percorso mirato riportano di essersi sentiti parte del gruppo operatori e di aver percepito di collaborare attivamente alla presa in carico dei minori con percorsi pensati e con obiettivi ad hoc (perdita di peso del ragazzo in carico, sostegno scolastico, condivisione del tempo libero, accompagnamento nello sport). Tutti gli educatori percepiscono di sentirsi sostenuti e ascoltati dal gruppo degli educatori esperti e nei momenti di crisi spesso hanno proposto riunioni di équipe o giornate di formazione/supervisione che sono state sempre accettate. La disponibilità dei responsabili e la comunicazione con loro è percepita come costante, stabile ed affidabile per ogni esigenza pratica ed emotiva degli educatori. Il modello familiare è riconosciuto come utile e indispensabile.

Gli educatori percepiscono di essere stati formati per capire e partecipare al meglio alla  vita dei ragazzi in tutti i suoi aspetti (cognitivi, emotivi e corporei) e anche rispetto alle procedure di gestione (schede di osservazione e valutazione, progettazione educativa,  stesura delle relazioni ai servizi sociali o TM).

Unitamente a questa formazione diretta e sul campo con l’educatore esperto riconoscono nella supervisione un importante elemento per l’analisi e la conoscenza di sé stessi sia personale che professionale.

Riconoscono nella quotidianità e nella familiarità che si è costruita nelle due case un elemento fondamentale per i ragazzi accolti unitamente all’importanza di creare momenti ludici attraverso gite, escursioni, laboratori, giochi e passeggiate.

 

Norme e report di riferimento

Legge regionale n. 23 del 28 luglio 2008.  Autorità di garanzia per il rispetto dei diritti di adulti e bambini.

REGOLAMENTO REGIONALE 8 marzo 2004, n. 1. Disciplina in materia di autorizzazione delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale.

Report 2016 L’ACCOGLIENZA DEI MINORINELLE COMUNITÀDELLA REGIONE MARCHE .

 

Webgrafia

http://www.cam-minori.org/new/chisiamo.php

http://www.comunitadicapodarco.it/storia/

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http://ceispesaro.it/

http://www.cronachemaceratesi.it/2012/11/27/il-maceratese-alberto-marangoni-e-il-presidente-del-coordinamento-delle-comunita-di-accoglienza/263082/

https://www.legadelfilodoro.it/chi-siamo/associazione/missione

http://www.ombudsman.marche.it/chi_e/index.php


 REGOLAMENTO REGIONALE CONCERNENTE: DISCIPLINA IN MATERIA DI AUTORIZZAZIONE DELLE STRUTTURE E DEI SERVIZI SOCIALI A CICLO RESIDENZIALE E SEMIRESIDENZIALE.

 Legge Regionale n. 23 del 28 luglio 2008. Autorità di garanzia per il rispetto dei diritti di adulti e bambini.

http://www.ombudsman.marche.it/chi_e/index.php

 

 Report 2016: L’ACCOGLIENZA DEI MINORI NELLE COMUNITA’ DELLA REGIONE MARCHE

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