Quanto pesa questo espositore di souvenir, ogni giorno che passa sembra sempre più pieno e più pesante. Mi duole la spalla, ma che vuoi fare, è il prezzo da pagare per poter continuare a seguire le lezioni. I miei genitori non mi permetterebbero di frequentare la scuola se non mantenessi l’impegno di portare qualche soldo a casa per comprare da mangiare e fare anche io la mia parte. Questo lavoretto di vendita di souvenir presso il sito archeologico di Angkor Wat è tutto quello che mi è venuto in mente. Mi faccio rifornire di cianfrusaglie al mercato nero. Il patto è chiaro: per ogni oggetto venduto, mi viene restituita una minuscola percentuale. Una miseria. Ma mia madre riesce a comprare qualche cosa da mangiare e questo basta. Certo che i turisti sono strani. Sono disposti a pagare un occhio della testa dei ninnoli che nemmeno si mangiano né si indossano, solo per il gusto di dire che li hanno portati a casa dalla Cambogia. Se sapessero che la maggior parte di quegli oggetti la Cambogia non sanno nemmeno cosa sia. Li fanno in Cina. Lì si comprano a poco. Una lucidata, una bella storia strappalacrime inventata sul momento, e un qualunque soprammobile diventa un prodotto di fine artigianato. Aveva ragione il vecchio Abdul, che ora è morto. Lui sì che ci sapeva fare con i turisti. La gente non vuole oggetti, vuole storie. L’ho visto più di una volta incantare le signore occidentali piene di foulard e gioielli mentre raccontava loro che un braccialetto trovato per strada era appartenuto alla dea della fertilità. Non credo che quelle signore colte gli abbiano mai creduto, ma con la fertilità non si scherza. Così li compravano, compravano qualsiasi cosa lui gli volesse vendere. E’ morto povero Abdul, perché nessuno si arricchisce vendendo souvenir, ma è morto contento per essere riuscito a vendere felicità. Sembra assurdo, ma la parte bella del lavoro non sono i soldi. E’ fare contento il cliente. Quando il turista porta a casa un oggetto che crede essere esclusivo, non importa se gli hai rifilato una patacca, è contento perché lo hai fatto sentire speciale e fortunato per essersi trovato al momento giusto nel posto giusto. Peccato non capiti mai a noi. Vorrei anche io un giorno provare un po’ di quella felicità che cerco di vendere. Poi viene la parte difficile, che è quella di raccontare le storie. Perché le storie gliele devi raccontare nella loro lingua, ai turisti. In inglese le storie non rendono sempre. Se sei francese le vuoi sentire tutte quelle “r” ben arrotate mentre compri uno scialle rattoppato credendo che sia meglio di quello di Chanel. I tedeschi poi ci vuole un sacco di tempo a convincerli. Hanno studiato troppo i tedeschi. Continuano a girare e a rigirare quei vasetti e ti chiedono chi li ha prodotti, con quali materiali, quanto tempo ci vuole. Insomma, bisogna lavorare bene di fantasia. E non è mica facile imparare tutti quei termini in tedesco. Ma a me le lingue piacciono. Quando arrivano le guide io le ascolto sempre. A forza di ascoltarle, ho imparato a capirle. E quando ho cominciato a capirle, ho iniziato anche a parlare. I turisti questo lo apprezzano, perché si sentono a casa. I cinesi invece comprano qualsiasi cosa, nemmeno si accorgono che potevano comprare quella roba direttamente a casa loro. Io penso che i cinesi siano forti, i più forti di tutti. Parlano un sacco di lingue e si adattano a fare di tutto. A volte li guardo i loro souvenir. Alcuni sono perfetti, come se li avesse fatti mia madre. Mica te ne accorgi che è roba non originale. Quanto vorrei studiare in Cina, all’università. Se potessi studiare davvero, non come faccio qui, farei davvero un bel mucchio di soldi. Altro che souvenir. Un’agenzia. Grande. Di import export. E mica farei finta di farmi infinocchiare da quegli scemi del mercato nero. Io le storie le racconto, mica ci credo. Lo so che la roba che mi danno fa schifo. E così io nella mia azienda farei entrare solo roba di qualità, che controllerei personalmente. Me la rigirerei tra le dita, proprio come fanno quei turisti che non sono disposti a farsi fregare. Sogni. Sono solo sogni. E oggi intanto non ho venduto niente. Perché penso troppo e parlo poco. Mica mi pagano per pensare. Adesso ci provo con quella turista lì, che filma tutto con il telefonino. Adesso le provo a vendere questa borsetta di stoffa. Le dico che è perfetta per il suo telefono, che l’ha ricamata a mano la famosa ricamatrice Saria con una stoffa arrivata dritta dritta dal corredo della dea dell’acqua. Chissà che lingua parla. Aspetta che ascolto. Mandarino, parla mandarino. Che fortuna. Mi piace il mandarino. Lo parlo meglio di tutte le altre lingue, francese, inglese, spagnolo, cinese, giapponese, portoghese… che pure le parlo bene. Vediamo un po’ che cosa combino. Mi guarda interessata. Le piaccio. Mi filma. Oh bella, guarda che qui si comprano souvenir. Cosa te ne fai del mio filmato? Però è gentile. Ha comprato un sacco di souvenir. E mi ha detto che con quei video si può anche diventare famosi. Questa è bella. Abdul si ammazzerebbe di risate. Mi ha anche dato una banconota che quando l’ho vista l’ho nascosta subito per paura che qualcuno la veda e cerchi di rubarmela. Con questi soldi qui mia madre può sfamarci per una settimana. Si allontana. Peccato. Mi era simpatica. Riprendo la mia cassetta di oggetti, sempre più pesante. La spalla continua a farmi male ma cerco di non pensarci. Ho appena venduto felicità. La storia di questo ragazzo cambogiano, fortunatamente, è a lieto fine. Il filmato è divenuto virale. Non è comune vedere un ragazzo poverissimo che impara a parlare oltre dieci lingue per allietare i turisti. La sua storia è divenuta un esempio di solidarietà, di generosità, di come si possa vedere il bene oltre se stessi. Oggi questo ragazzo studia a Pechino, suo sogno da sempre. Qualcuno ha deciso di mettere a sua disposizione i propri mezzi economici per far sì che il suo destino fosse diverso da quello della maggior parte dei ragazzi come lui. Perché nessun talento va sprecato, nemmeno quello di chi abita troppo lontano da noi. Ha fatto fatica, fa fatica. Non è semplice gestire doti straordinarie quando si viene da un contesto privo di mezzi. Ma lui ce la farà. I sogni a volte si realizzano. Basta non smettere di inseguirli. Fino a quando non sono loro a trovare noi.

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