E’ notizia di questi ultimi mesi che i medici di Baltimora hanno effettuato un trapianto di cuore non umano nel petto di un soggetto 57enne, affetto da una gravissima malattia cardiaca terminale per cui non esistevano alternative: troppo basse le possibilità di sopravvivere con un “normale” trapianto proveniente da umano. Di conseguenza viene deciso di trapiantare un cuore di un maiale.

Tale trapianto – xenotrapianto – ha la caratteristica di usare cellule, tessuti e organi, provenienti da una specie diversa da quella del soggetto sul quale viene effettuato e nasce per sopperire alla drammatica carenza di organi. I donatori sono in numero davvero esiguo di fronte ad una richiesta sempre più crescente.

Il maiale, in tale ricerca, è stato individuato come un soggetto ideale in quanto presenta caratteristiche tali da renderlo la specie più adatta a questo tipo di sperimentazione: ha una velocità di crescita maggiore rispetto ad un primate non umano, come ad es. lo scimpanzè, i suoi organi hanno una taglia simile a quella di un primate, e tale sperimentazione- a detta di molti – è meno impegnativa da accettare dal punto di vista etico, in quanto circa 13 milioni di suini vengono abbattuti in Italia all’anno per fini alimentari. In Italia, l’utilizzo di tessuti, cellule e quant’altro dell’animale è stato reso conveniente grazie all’allevamento cremonese Avantea, allevamento di suini geneticamente “ingegnerizzati”, sviluppati e utilizzati al solo fine della sperimentazione animale.

Favorevole a tale sperimentazione si è espressa anche l’Università di Padova, con la motivazione basata essenzialmente su uno dei limiti dello xenotrapianto, ovvero il rigetto. Il rigetto nello xenotrapianto è molto più frequente rispetto ai trapianti uomo-uomo proprio per la provenienza dell’organo da un’altra specie: pertanto, intervenendo sul genoma suino e inserendovi sequenze di geni umani, si rende il materiale, o l’organo, trapiantato più compatibile con quello umano.

Fin qui la scienza. Ed è a questo punto che il discorso bioetico si inserisce con veemenza. Un maiale – nel caso, ma in futuro potrebbe essere anche un altro animale – può essere considerato una fornitura di “pezzi da ricambio” per l’essere umano? Si può definire etico allevarli a tal fine? Tale procedura, solo perché possibile scientificamente, va applicata?

Vi sono correnti di pensiero che ritengono come uomini e animali abbiano uguale dignità, altre che reputano come gli animali possano essere utilizzati dall’uomo. Nel primo caso, l’uso degli animali è giudicato come un gesto tirannico da parte dell’uomo e secondo tale linea di pensiero persino la sofferenza dell’uomo non potrebbe giustificare l’uso degli animali, mentre nel secondo caso si ritiene che l’uomo possa servirsi degli animali senza sentirsi limitato da considerazioni etiche.

Al di là delle percezioni di sensibilità esistenti in ciascuno di noi, ricordiamo che in tale operazione non esiste il bisogno di chiedere, non c’è bisogno di consenso: individuato il soggetto maggiormente compatibile, dopo qualche ulteriore analisi di laboratorio, zac, via, ecco un organo bell’e pronto a sostituire quello avariato. Non c’è bisogno di pubblicità, tipo “dona gli organi, qualcosa di te sopravviverà alla tua morte”, o “con un piccolo gesto, anche tu puoi prolungare la vita del prossimo” e via di seguito. No, non c’è bisogno, tanto l’altra “parte” non sa nulla, è ignara.

Indubbiamente la vita umana è preziosa, alta espressione di quello che è la natura e tutto bisogna tentare per proteggerla e svilupparla, ma è doveroso ricordare come anche altri esseri, seppure non forniti di alto intelletto come gli umani, sono capaci di provare sensazioni, emozioni, dolore, paura, attaccamento.  

Vale la pena di sacrificare un suino – in genere, molti ma molti di più -per salvare un essere umano? Un essere umano che ha una vita davanti, per quanto la stessa possa essere breve, merita un prolungamento di vita? La risposta è affermativa, pur con qualche dubbio. C’è però un “ma”, di cui nel nostro grado di civilizzazione bisogna tenerne conto.

Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato la natura senziente dell’animale, la sua capacità di soffrire e di provare (taluni) sentimenti. Dal punto di vista giuridico è indubbio che la legislazione e la giurisprudenza – negli ultimi anni – abbiano prodotto un innalzamento della soglia di tutela dell’animale: uno per tutti si ricordi il dl.116/1992 (protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici). Anche nell’utilizzo degli animali, l’uomo deve osservare imprescindibili condizioni: le sofferenze devono sempre essere evitate, devono essere rispettati criteri di reale necessità e di ragionevolezza. Lo stesso decreto afferma come le persone che conducono esperimenti, che prendono parte a essi o si prendono cura degli animali usati per gli esperimenti, devono possedere una formazione ed un addestramento adeguati.

Qualificare il personale e riconoscerne le professionalità significa responsabilizzare il personale stesso e valutare in modo adeguato l’importanza del rapporto uomo-animale. Prendersi cura degli animali, in particolare in tale contesto, è un compito alto e deve essere socialmente riconosciuto come tale. Si auspica quindi che tale preparazione del personale addetto possa arrivare ad un livello tale da riuscire a comprendere, utilizzando la sensibilità propria del genere umano, i metodi più adeguati per porre fine ad una vita non umana, ma pur sempre vita. (lo stesso si spera valga anche nel contesto dei macelli, ma questa è un’altra storia).

Esistono vie alternative? Il pensiero – forse fantascientifico, ma non troppo- corre alla stampa in 3d di organi che ha già dato risultati interessanti nel riprodurre sistemi vascolari come vene e arterie. Sicuramente un cambiamento epocale.

Daniela Leban, esperta in bioetica giuridica