Piccoli appunti sulle nuove forme di narrazione 

In questo nuovo spazio tratterò di anime e serie tv. Per farlo però devo partire con una doverosa confessione: sono di parte.

Nato esattamente sul confine tra gli anni 70 e gli anni 80 buona parte del mio immaginario di infanzia e preadolescenza è stato impastato con quello degli anime, che allora facevano parte per me del contenitore generico “cartoni animati”. In quelle storie io vedevo lotte titaniche tra robottoni ed extraterresti, eroi ed eroine con poteri da urlo, personaggi anomali capaci di farmi ridere di gusto. Sognavo di comandare tecnologie future (molte avveratesi), di essere un ninja, di viaggiare nello spazio per mille e mille anni. Non sapevo però che quelli che per me erano solo cartoni animati proponevano una forma estremamente complessa di lettura etico-morale del mondo. Molto più complessa della media delle proposte mainstream televisive a cui potevo accedere con la televisione pubblica. In quei cartoni prendevano forma demoni con conflitti amletici come in Devilman, eroi ed eroine nobili d’animo e destinati al sacrificio per salvare il prossimo, come Astroboy e Lady Oscar. E ancora la grande paura della tecnologia usata come strumento di morte, come in Conan ragazzo del futuro, Il mistero della pietra azzurra e Captain Harlock, la visione non lineare di bene e male, come nell’Uomo tigre tra i tanti. ll tutto condito di elementi di shintoismo, assolutamente inconsapevole per noi bambini, rispetto e protezione della natura, figure femminili autonome e forti, l’etica del sacrificio e dell’impegno. Spesso poi erano storie mutuate e ispirate alla grande letteratura occidentale e rinarrate con uno sguardo diverso, con opere presa da Jule Verne, Maurice Leblanc, Alexander Key, Arthur Conan Doyle, Mary Norton, Ursula Le Guin tra gli altri.

Da pre-adolescente mi sono dovuto confrontare con la prima serialità, frutto in parte di produzioni ancora anni 70, e con le produzioni fine anni 80 inizio anni 90 che vedevano negli adolescenti un nuovo target. Immaginate il conflitto tra le poetiche di Hayao Miyazaki e Leji Matsumoto incontrate nell’infanzia, con le novità di Beverly Hills 90210 e Supercar dall’altra. Un confronto titanico tra grandi epiche, domande universali e complessisazione del mondo contro grandi ciuffi ribelli, domande assenti e mondo organizzato in alcol-sgommate-donne in pantaloncini ultra corti. Un periodo che ha visto un passaggio socio-culturale della televisione di massa complesso e tutt’oggi ancora oggetto di nuove analisi e studi. Per questo è per me estremamente affascinante vedere i grandi cambiamenti che queste due forme narrative, anime e serialità, hanno e stanno affrontando. Oggetto di ingenti investimenti da parte dell’industria delle storie si sono diffuse sempre di più sia tra i grandi che tra i piccoli diventando spesso forme narrative intergenerazionali. Questo ha permesso un cambio, almeno parziale, di etichette. Basti pensare agli anime, prima relegati a genere di nicchia, o entrambe definite come mero intrattenimento. Così come cambiano i tempi, i luoghi e le modalità di fruizione e le relazioni con la comunità degli spettatori/trici e circolarmente le forme della narrazione con la nascita di nuove strategie di marketing e relativi neologismi. L’aumentata diffusione, l’elevata crescita di qualità, in particolar modo rispetto alle serie tv, e i nuovi fenomeni sociali e di massa connessi, ne fanno a tutti gli effetti una delle forme di narrazione che chi lavora con i minori deve conoscere. Con un appuntamento quindicinale lo spazio vuole essere d’aiuto per conoscere, riflettere e aggiornarsi. Saranno proposte prevalentemente novità, con qualche apertura ai classici considerati ancora in grado di affascinare. I fenomeni di massa troveranno spazio solo se di qualità, indicando con questa parola storie narrativamente valide, non stereotipizzanti e portatrici di messa in discussione.

Emanuele Ortu

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