I bambini e le sfide dei cambiamenti climatici

Durante le nostre lunghe e complesse giornate primaverili di confinamento domiciliare, abbiamo visto sui social tanti filmati e fotografie di animali selvatici che gironzolavano negli ambienti urbani di abituale pertinenza umana – dall’anatra con gli anatroccoli nel centro di Torino ai cinghiali davanti alla stazione Brignole di Genova – o che nuotavano vicino alle coste e ai porti silenziosi – dalla medusa nell’acqua cristallina di Ischia ai delfini al largo di Ravenna e Milano Marittima. Abbiamo anche visto in televisione le immagini dell’enorme calo del traffico aereo così come il brusco declino nei consumi di risorse petrolifere con la chiusura in massa delle fabbriche, e abbiamo letto articoli sul crollo a picco dei livelli di inquinamento atmosferico e di CO2 in decine di città e regioni del Pianeta. Nel frattempo, la diffusione della pandemia di COVID-19 ha rapidamente rimarcato le differenze e le vulnerabilità interne alla medesima popolazione umana, ha ristabilito distanze, colpito fisicamente e affettivamente individui di tutte le età e di tutte le nazionalità, aggravato l’esposizione ai rischi ambientali di persone e gruppi già costitutivamente fragili. Bisogna dunque considerare la pandemia in sé come una sorta di “vendetta della natura” sul nostro sistema occidentale di sviluppo, lanciato da 150 anni lungo la china scivolosa della crisi ambientale, incurante degli habitat che distrugge o degli equilibri che viola? Decisamente no. I mesi più bui di emergenza e di lockdown non hanno prodotto miglioramenti rilevanti dal punto di vista ambientale e di certo non hanno aperto la via a un ripensamento dei sistemi di produzione e commercio — come dimostra l’assenza di decisioni politiche in direzioni “Green” o addirittura la taciuta perdita di interesse per la sostenibilità in favore di una rapida ripresa dell’economia. Non è quindi la speranza in una pandemia l’ultima risorsa per la salvaguardia dell’ambiente, né il portavoce del diritto dei gruppi umani più vulnerabili di essere equamente tutelati. La forza globalizzante di un virus diffusosi da una specie animale alla nostra ha più semplicemente la possibilità di riuscire laddove l’attivismo lotta strenuamente per arrivare: rendere ognuno consapevole che le scelte che compiamo ogni giorno, lo stile di vita che adottiamo e l’insieme dei sistemi naturali non possono essere considerati come sfere separate di interesse, bensì come un’unica fitta rete di strettissime correlazioni non trascurabili. Da un telegiornale all’altro, passando per report e approfondimenti dalle fonti più disparate, siamo ormai familiari alle tematiche emerse dal principio dell’epidemia a oggi: la diffusione di malattie infettive, la fragilità sociale in tempi di crisi, l’emergenza delle istituzioni sanitarie, l’esperienza del trauma e la necessità di trovare misure di vita resiliente basate su soluzioni locali e creative, il ritorno a un mondo più semplice e più lento, l’utilizzo sapiente delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche. Ciò che val la pena notare è come ciascuno di questi argomenti sia da anni tra i protagonisti del dibattito sui cambiamenti climatici, per cui individuare l’angolazione prospettica da cui ogni cosa si intreccia in un tutto interrelato di con-cause e con-effetti è un compito importante da perseguire, in quanto può fornirci insieme la diagnosi e la ricetta per modificare la nostra considerazione dell’ambiente nel senso di una assunzione di responsabilità globale (verso la natura, verso gli animali non-umani, verso gli esseri umani più vulnerabili), con la consapevolezza che, come ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, “se vogliamo prenderci cura dell’umanità, dobbiamo prenderci cura della natura”. Gli interventi contenuti in questa rubrica sono scritti con l’obiettivo di fornire brevi insights su alcune delle tematiche e prospettive da cui guardare la complessità degli intrecci uomo-ambiente, in particolare per quanto riguarda le problematiche di salute fisica, mentale ed emotiva dei bambini che derivano dagli effetti dei cambiamenti climatici, con la consapevolezza che adattarsi a un mondo che cambia – come ciascuno di noi ha potuto sperimentare negli scorsi mesi — significa innanzitutto munirsi di una solida base di evidenza scientifica per comprendere le trasformazioni climatiche in atto e i conseguenti effetti su tutti gli equilibri planetari, e al contempo adottare uno sguardo critico sui significati delle nostre scelte. Per questa ragione, guardare alla posizione di peculiare vulnerabilità dei bambini di fronte alla sfida rappresentata dai cambiamenti climatici permette di collocarci al punto dove vengono a galla altrettante contraddizioni e criticità quante speranze per il futuro.

La rubrica è curata dal Dott. Lorenzo Cervi, collaboratore del Master

Siamo giunti quasi al termine di questa rubrica, dove abbiamo cercato di attraversare alcune delle prospettive […]
Quali possibilità di azione ci troviamo di fronte se decidiamo di accogliere i suggerimenti del Postumanesimo […]
Nello scorso articolo abbiamo varcato la difficile soglia del Postumanesimo. Questa filosofia ci chiede di cambiare […]
Nel corso dell’ultimo intervento ci siamo lasciati con una domanda: come poter pensare un’alternativa all’educazione ambientale […]
L’idea di educazione ambientale come è venuta ad affermarsi fino a oggi non si può dire […]
Al termine del precedente articolo abbiamo parlato delle due priorità fondamentali per far fronte ai cambiamenti […]
Arrivati all’incirca a metà della nostra rubrica, possiamo domandarci: cosa significa essere vulnerabili all’ambiente che cambia? […]
Parlare di cambiamenti climatici oggi, ai tempi del COVID-19, serve a renderli di gran lunga più […]
Siamo finalmente giunti al termine della panoramica sulle emergenze ambientali. Abbiamo cercato di seguire le tracce […]
Quando si parla di emergenze ambientali, di catastrofi naturali o di eventi meteorologici estremi, tra le […]