Stando all’ultimo aggiornamento del ministero dell’interno, nel 2022 in Italia si sono registrati 319 omicidi di cui 125 con vittime di sesso femminile (circa il 39%). Un totale di 140 episodi hanno avuto luogo in un contesto domestico e in questo caso 103 hanno colpito donne (quasi il 74%). Il 58% delle donne uccise è vittima del partner o dell’ex partner.

Un fenomeno sociale di queste dimensioni ha richiamato l’attenzione del legislatore, che con la legge 19 luglio 2019 n. 69 “Disposizioni in tema di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” ha cercato di prevenirlo e di contrastarlo.

E’ una legge tecnicamente complessa, che in primo luogo cerca di accelerare al massimo i tempi di intervento della giustizia e per questo è stata chiamata “Codice rosso”, con terminologia ripresa dal triage dei pronto soccorso ospedalieri.

In questa sede ce ne occuperemo solo con riferimento a una vicenda molto nota, quella del ragazzo diciottenne di Torino che il 30 aprile del 2020 uccise il padre alla vista delle ennesime violenze fatte da costui ai figli e alla consorte. Assolto in primo grado per legittima difesa dall’accusa di omicidio, il ragazzo è stato invece ritenuto responsabile di omicidio volontario dalla Corte d’assise di appello Torino, che ha negato l’applicabilità della legittima difesa e con ordinanza del 4 maggio 2023 ha sollevato questione di illegittimità costituzionale dell’art. 577 comma 3 codice penale. Questa norma prevede la pena dell’ergastolo se l’omicidio è commesso contro l’ascendente o il discendente, e non permette al giudice di mitigare la pena considerando prevalenti le attenuanti generiche e quella della provocazione.

Occorre qui spiegare brevemente il nostro sistema delle pene. Vi sono pene pecuniarie e pene detentive. Vanno poi distinte le pene astrattamente previste per i singoli reati (omicidio, lesioni, furto, violenza sessuale…) dette pene edittali, da quelle che il giudice ha applicato in concreto. Così, ad esempio, per il delitto di violenza sessuale (art. 609 bis cod.pen.) la pena edittale va da un minimo di cinque a un massimo di dieci anni. Entro questa forchetta il giudice sceglie la “pena base”, sulla quale può applicare secondo i casi delle attenuanti o delle aggravanti e ritenere equivalenti o prevalenti le une o le altre.  E’ quello che si chiama giudizio di bilanciamento. Nel caso dell’ergastolo, la concessione di un’attenuante lo trasforma nella reclusione da venti a ventiquattro anni, e in misura minore se le attenuanti sono due.

La Corte torinese spiega nella sua motivazione che, esclusa la legittima difesa per quanto si dirà tra poco, il ragazzo meriterebbe l’attenuante della provocazione e le attenuanti generiche in ragione della giovane età. Ma ciò è impossibile con la formulazione attuale della legge. Di qui, il dubbio di costituzionalità e la relativa eccezione. La legittima difesa è invece da escludere per altri motivi, in particolare per le modalità del fatto (padre colpito da una prima coltellata alle spalle e successivamente da più di trenta coltellate), per la lunga esposizione ai comportamenti violenti del padre e per la peculiare condizione soggettiva del giovane.

Di qui, la decisione della Corte: che ha fatto e farà ancora discutere.

Luigi Fadiga