Pinocchio bravo bambino e l’autostima

Ciascuno di noi, esseri umani, ha bisogno di essere stimato. Abbiamo tutti bisogno di stima. E su questo bisogno nascono, in buona parte, l’autostima, l’autovalutazione e l’autoefficacia[1]. Domandiamoci se la stima, per chi ha una certa disabilità, può arrivare unicamente da parte di coloro che hanno una preparazione specifica. Se io avessi un mio autismo, potrei e dovrei essere stimato unicamente da chi ha fatto un corso di specializzazione per l’autismo? Non è una domanda fatta scherzando su temi che non sono certo adatti agli scherzi.

Non mettiamo in discussione la necessità delle competenze specifiche. Ci domandiamo se tra le competenze non debba esserci quella dell’evitare l’esclusività della stima, riservandola a chi ha la specializzazione. O non debba invece esserci la competenza di saper operare per allargare il numero di coloro che possono stimare chi ha una condizione particolare. Chi cresce ha bisogno di essere stimato, o stimata. Non solo con espressioni piene di punti esclamativi: brava! Che bello! Eccetera. Ma anche, o soprattutto, mostrando fiducia nelle capacità di chi sta crescendo; affidando, senza approfittarne, piccoli compiti, o incarichi. Dire a chi cresce: “tu che sai fare la tal cosa così bene …” è stimare. E così anche farsi aiutare in qualcosa è una prova di stima e di fiducia. Ma è stimare qualcuno dire che può far meglio …, che non ci accontentiamo …?

Pinocchio ha cercato a lungo la stima. Ha cercato la stima dei poco di buono. Non ha incontrato il facchino Giorgio. Un bambino, in una stazione ferroviaria di una città romagnola, incontrò il facchino Giorgio. Che gli disse di aiutarlo e di portare un pacco che lui, Giorgio, non avrebbe potuto portare avendo un carico di bagagli già molto ingombranti. Quel bambino si sentì stimato, e anche lontano dallo sguardo e dalla presenza del facchino Giorgio, cercò di rendersi utile. Pinocchio non ha incontrato il facchino Giorgio e ha cercato la stima del Gatto e della Volpe, di Lucignolo … dei poco di buono.

L’autostima è così: quel bambino ingoiò il facchino Giorgio. Qualcuno direbbe che lo mentalizzò, con la conseguenza che la sua presenza nella mente di quel bambino lo induceva a fare tutto il possibile per meritare e mantenere la stima del facchino Giorgio. Che non lo aveva lodato, e forse era stato anche un po’ brusco. Ma lo aveva valutato capace. Lo aveva stimato.

Da chi vogliamo essere stimati? Saremmo contenti di essere stimati da gente della camorra? O da nazisti? O vogliamo essere stimati da chi non desidera altro che fare i propri comodi? Forse dobbiamo domandarci proprio questo: da chi vorremmo essere stimati? A volte ci sembra che la stima di una sola persona, ma importante e particolare, sia quella che vorremmo avere. E non è detto che sia la stima di una persona che possiamo incontrare. Ho conosciuto una persona – faceva il barista – che ci teneva molto a essere stimato da un filosofo dell’antichità, Platone. E immaginava cosa potesse dire Platone delle cose che pensava e faceva. Naturalmente rischiava di costruire un Platone immaginario, una specie di fantasma che può diventare anche incubo …

La risposta alla domanda su chi vorremmo che ci stimi ha una certa importanza. E si porta dietro – come le ciliegie: una tira l´altra … – altre domande: siamo abbastanza liberi per poter desiderare davvero noi chi vorremmo ci stimi? O siamo condizionati nelle nostre scelte? Un po´condizionati lo siamo inevitabilmente. Ma ne abbiamo coscienza o ci crediamo liberi essendo invece schiavi? E´ chiaro che io sono venuto al mondo in una certa parte del mondo e in una epoca e non in un´altra. Come dovrebbe essere chiaro che mi arrivano continuamente informazioni sonore, visive, olfattive, tattili … che mi portano a fare alcune scelte più facilmente di altre. Ma questi condizionamenti non sono equiparabili al lavaggio del cervello che impedisce a qualcuno di capire dove si trova e come può pensare e agire. Non sono paragonabili alle condizioni in cui ci si può trovare per dipendenza, per esempio da alcol, da droghe, da gioco d’azzardo, ecc.  C´è un salto brusco dal condizionamento di una normalissima situazione che chiameremmo storica (la mia storia) e il condizionamento forzato e violento dei condizionamenti da laboratorio. Ma crediamo che anche nei condizionamenti forzati possano esservi momenti in cui si riesce a tenere a bada “la scimmia” e a vivere uno sprazzo di libertà che permette risposte più nostre a quelle domande.

Pinocchio è burattino o marionetta? La marionetta è un fantoccio in legno, stoffa o altro materiale, ed è una figura a corpo intero mossa dall’alto tramite fili. Chi allestisce gli spettacoli di marionette è detto marionettista. Il burattino è quel pupazzo che compare in scena a mezzo busto ed è mosso dal basso, dalla mano del burattinaio, che lo infila come un guanto. In tutt’e due le condizioni, Pinocchio è manipolato. La manipolazione non crea autostima. Dire a qualcuno che lo stimiamo se fa una certa cosa può essere manipolazione che non crea autostima.

Albert Hofman – nella relazione al simposio “Tra illusione e realtà” che si svolse nella Clinica Psichiatrica dell’Università di Zurigo scriveva: “Che cos’è la coscienza? La maggior parte dei filosofi ritiene che la coscienza non possa essere definita scientificamente e che tutti i tentativi di definizione siano tautologie poiché ci vuole coscienza per definire la coscienza. Si cerca insomma di definire qualcosa con ciò che si dovrebbe definire”[2].

Le parole che Hofman utilizza potrebbero essere utilizzate anche dopo alcuni anni completando il termine ‘coscienza’ con ‘di sé’. Proviamo a rileggere Hofman e facciamo la sostituzione. Che cos’è la coscienza di sé? La maggior parte degli studiosi ritiene che la coscienza di sé non possa essere definita scientificamente e che tutti i tentativi di definizione siano tautologie, poiché ci vuole coscienza di sé per definire coscienza di sé. Si cerca di definire qualcosa con ciò che si dovrebbe definire.

Questa modalità di riflettere sulla coscienza di sé è comune a molti studiosi che cercano di fare qualcosa per uscire dalla tautologia. I ricercatori come fanno a lavorare sulla coscienza di sé senza rimanere prigionieri del circolo vizioso tautologico? Qualcuno – e tra questa indefinita indicazione collochiamo Piaget – ha pensato che una maniera operazionale per uscirne è quella che fa riferimento all’adattamento, e hanno provato a collocare la coscienza di sé accanto al termine ‘adattamento’ in rapporto alla realtà. Ne deriverebbe che un modo di provare l’esistenza di una coscienza di sé è quella di osservare come un soggetto vive in molteplici adattamenti che deve fare nel corso della propria esistenza e come negli adattamenti possa sviluppare delle strategie.

In una bella intervista/dialogo (1978; 1977), Piaget dice che l’intelligenza è l’adattamento a situazioni nuove. E che, per assimilare gli elementi nuovi, dovremmo avere una strutturazione interna: «Un coniglio che mangia dei cavoli non diventa cavolo, e questa è l’assimilazione»[3]

Per questo abbiamo detto che quel bambino ingoiò il facchino Giorgio.

Andrea Canevaro, pedagogista, professore emerito dell’Università di Bologna


[1] Da Bandura A. (2000; 1997), Autoefficacia. Teoria e applicazioni, Presentazione di Gian Vittorio Caprara, Traduzione di Gabriele Lo Iacono, Trento, Erickson: “Con lo sviluppo cognitivo, che avviene attraverso le esperienze di esplorazione, il modellamento e l’educazione, le abilità di autovalutazione dei bambini migliorano progressivamente. L’autoconoscenza acquisita applicando tali abilità di valutazione consente ai bambini di giudicare autonomamente la loro autoefficacia e di regolare con essa le loro azioni in qualunque situazione possano incontrare. Il modo in cui i bambini imparano a utilizzare le diverse fonti di informazione di efficacia nello sviluppo di un senso di autoefficacia stabile e accurato è particolarmente interessante” (p. 243).

[2] in “La Repubblica”, 10 gennaio 2006

[3] Piaget J. (1978; 1977), Intervista su conoscenza e psicologia, a cura di Bringuier J. C., Bari, Laterza p. 55.

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