Si chiude in Spagna un lungo e travagliato percorso, iniziato più di vent’anni fa, per risolvere, o tentare di regolare, uno dei più angosciosi problemi che attagliano l’uomo, l’eutanasia. La legge iberica viene a stabilire che l’eutanasia o il suicidio assistito potrà essere richiesto da persone affette da malattia grave e incurabile o da una patologia grave e cronica e disabilità che provochino sofferenze insopportabili. Il consenso dovrà esser espresso dal paziente per ben 4 volte e due medici esterni alla struttura dovranno autorizzare la richiesta. Nell’ipotesi di persone del tutto incapaci e prive di coscienza, vi dovrà essere un documento preliminare di assenso o un testamento biologico, documenti, entrambi, predisposti e firmati quando le condizioni mentali del soggetto lo consentivano. Qualche riflessione è di dovere. Sorge di nuovo l’eterno scontro tra coloro che affermano come la soluzione non sia nell’eliminare il problema con la soppressione dei malati inguaribili che ne facciano richiesta, bensì nell’accompagnare queste persone fino alla morte, alleviando le loro sofferenze e rendendo così veramente dignitosa e serena la vita fino all’ultimo istante. A questa visione quasi poetica e romantica dell’atto finale si contrappone quella più cruda e, molto probabilmente, più vera. Ovvero la posizione di coloro che anelano il diritto ad una morte degna, volta a tutelare la dignità della persona come fondamento dell’autonomia assoluta della stessa. In tale contesto diviene doveroso ricordare come la nostra Costituzione abbia un’impostazione che esalta, da un lato, la tutela dell’individuo, delle sue libertà e dei suoi diritti, e, dall’altro, i doveri di solidarietà che legano tra loro tutti i componenti di una società. Questa pianificazione emerge già dall’articolo 2 della stessa, che sancisce, appunto, l’inviolabilità dei diritti umani, non solo dell’individuo inteso singolarmente, ma anche dell’individuo all’interno dei gruppi sociali, e l’obbligo di adempiere ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Non tutti i diritti che l’ordinamento riconosce in capo alla persona umana sono, però, inviolabili, ossia incomprimibili; anzi, anche gli stessi diritti inviolabili possono subire una compressione se bilanciati con diritti di altri individui, e/o della collettività, di pari rilevanza. Ciò che, invece, è considerato, senza alcun dubbio, non sacrificabile è il valore della dignità umana, che rappresenta, infatti, il cardine dei principi costituzionali, costituendo da fondamento per il riconoscimento dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali di ogni individuo. Particolare rilievo assume, poi, l’articolo 32 Cost., che, riconosce e garantisce in capo ad ogni individuo e alla collettività generale il diritto di curarsi e di salvaguardare il proprio stato di salute, ma anche il risvolto negativo dello stesso, ovvero il diritto a non curarsi, a non vedersi imporre un trattamento sanitario non desiderato, vivendo le fasi ultime della vita, secondo i propri principii di dignità – ad eccezione dei casi previsti dalla legge, in cui il diritto alla salute della collettività prevale sul diritto di scelta del singolo-. E’ d’obbligo sottolineare come accanto a chi ritiene che sia nel proprio miglior interesse essere tenuto in vita artificialmente il più a lungo possibile, anche se privo di coscienza, c’è anche chi, legando la propria dignità alla vita di esperienza e di discernimento, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere sine die in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Uno Stato, come il nostro, organizzato, attraverso le fondamentali scelte della Costituzione, costituite sul pluralismo dei valori, e che mette al centro del rapporto tra paziente e medico il principio di autodeterminazione (L.219/2017) e la libertà di scelta, non può che rispettare anche quest’ultima scelta (Cass. 21748/2007). L’opposta corrente di pensiero – che ostacola l’eutanasia con forza – afferma come la cultura di oggi rende incapaci di comprendere la realtà dell’esistenza al di fuori dei valori creati dall’uomo, in base ai quali i soli parametri di valutazione per una vita che valga la pena di venir vissuta si configurano in efficienza, benessere, bellezza, giovinezza, salute e vitalità. Scopo della vita diviene quindi il raggiungimento della felicità senza alcuna restrizione, in cui l’uomo, divenuto assoluto padrone della propria vita, s’illude di poter sfuggire alle limitazioni nell’esistenza umana. La morte diventa un evento inspiegabile e insensato, e, di conseguenza, la sofferenza una sconfitta inaccettabile. Certamente le linee di fondo ci stanno, eccome: nessuno dubita quanto sia trasformata la società odierna, i valori, i principii ed i parametri, sono profondamente diversi e sono mutati nel corso del tempo. Ma al di là di questo velo romantico e lievemente offuscante della realtà, è obbligatorio chiedersi perché assoggettare un individuo, con la propria personalità, con i propri credo ad un “qualcosa” che proviene come un “diktat” dall’alto? D’accordo, è giusto e sacrosanto seguire un soggetto alla fine della propria esistenza, con sentimento, sensibilità, assiduità… ma siamo davvero sicuri – data la certa ospedalizzazione del soggetto – che questo comportamento venga seguito scrupolosamente da tutti gli operatori addetti a tale compito? Siamo sicuri che tale mansione venga svolta con l’umanità e la devozione richiesta? Siamo sicuri che i congiunti del soggetto siano vicini ad esso fino alla fine? Certamente non è questa la ragione per cui vale la pena di staccare la spina, ma è pur sempre uno degli elementi di cui tenere conto. Ma il fattore più importante – su cui non si può transigere- è sicuramente la volontà del soggetto, anche se espressa in modo appena percettibile. La libertà di ognuno di noi, sta nell’effettuare le proprie scelte in ogni campo di quella vasta e caleidoscopica avventura che è la vita, nel rispetto degli altri soggetti, ed è indiscutibile che tale guizzo di libertà si manifesti anche nell’ultima scelta. In tal senso libertà di morire viene a significare anche e soprattutto, libertà di vivere, ciascuno secondo i propri credo.

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