il mostro di dusseldorf

Regia: Fritz Lang

Genere: Drammatico

Tipologia: Disagio sociale, Crisi delle istituzioni

Interpreti: Peter Lorre, Ellen Widmann, Inge Landgut, Gustaf Grundgens, Otto Wernicke

Origine: Germania

Anno:  1931

Trama: Nel cortile di un palazzo popolare uno dei tanti di una città tedesca, dei bambini giocano mentre le mamme lavorano in casa ma  sono preoccupate per un maniaco che si aggira violentando ed uccidendo le bambine. Il mostro ne ha già uccise otto e dopo l’ultimo assassinio la popolazione cade nel panico, la polizia brancola nel buio e i suoi sforzi per catturarlo sono vanificati. “Chiunque seduto accanto a noi potrebbe essere l’assassino” scrivono i giornali. Le persone iniziano ad accusarsi a vicenda, per strada si rischia di arrivare anche al linciaggio. Hans Beckert, questo il nome dell’omicida, è un uomo all’apparenza mite e gentile, quasi anonimo. Fischietta quando decide di commettere i suoi delitti. Adesca le bambine offrendo loro giocattoli o dolciumi. Le maggiori organizzazioni criminali decidono di intervenire visto che le retate della polizia ostacolano ormai anche i loro traffici.  Chiedono aiuto ad un boss del luogo latitante, che dispone la ricerca utilizzando anche i mendicanti come spie per le strade. Così un venditore di palloncini cieco riconosce il mostro dal fischio, urla ad un ragazzo di pedinare l’uomo. Il ragazzo con uno stratagemma, individuatolo, gli segna sulla spalla della giacca una M affinchè possa essere individuato. Il pedofilo viene catturato dai criminali che, inscenando un tribunale, lo condannano a morte. A questo punto Hans Beckert che non aveva mai parlato inizia a discolparsi, urla “Non è colpa mia… chi siete voi che volete giudicarmi? Ma chi credete di essere…

«Quando cammino per le strade ho sempre la sensazione che qualcuno mi stia seguendo, ma sono invece io che inseguo me stesso. Silenzioso, ma io lo sento. Spesso ho l’impressione di correre dietro a me stesso. Allora voglio scappare, scappare, ma non posso fuggire! Devo uscire ed essere inseguito. Devo correre, correre per strade senza fine. Voglio andare via, ma con me corrono i fantasmi di madri, di bambini. Non mi lasciano un momento, sono sempre là, sempre, sempre. Soltanto quando uccido, solo allora…

La polizia salva l’uomo dalla morte e lo arresta: L’ultima scena inquadra delle mamme straziate dal dolore e vestite di nero che implorano: Bisogna vegliare meglio sui nostri figli.

Recensione: “Scappa scappa monellaccio se no viene l’uomo nero col suo lungo coltellaccio per tagliare a pezzettini proprio te”. Con questa filastrocca si apre uno dei più bei film della storia del cinema mondiale. Ispirato ai delitti efferati e atroci commessi da Fritz Haarmann e Peter Kürten, in Germania negli anni venti, che violentarono ed uccisero bambini e ragazzine  di ogni età, seminando il terrore nel Paese. Ma il significato del film va oltre: siamo negli anni che seguono la disfatta tedesca nel primo conflitto bellico e che preparano l’avvento del nazionalsocialismo e di Hitler al potere. M come morder, M come mostro, come assassino: il male si aggira nella società e non è facile da riconoscere perché la bestia cova dentro ognuno di noi. Lo spettatore è portato a partecipare, ad essere complice del regista, a sapere ciò che i personaggi, la gente della città non sa: la morte c’è ma viene evocata da immagini, dal chiaroscuro, dagli oggetti. Lang non mostra la violenza, lasciando allo spettatore la libertà di immaginare l’orribile, così come De Sica farà nella scena della violenza sessuale in La ciociara. Le metafore visive, si intrecciano ai dialoghi del primo film parlato di Lang. Tanti i topoi: dalla città con i dedali di strade, i corridoi, i panni stesi in interminabili file nel lavatoio,  labirinti che evocano la psiche dell’uomo, le sue emozioni, le sue patologie,  al mostro stesso che evoca l’uomo nero presente nella storia delle fiabe e del cinema legato ai bambini. Il bianco e nero, la luce giocata sul chiaroscuro, accentuano le ombre come quadri del Caravaggio, illuminano d’improvviso i volti, gli oggetti. “Sono gli istinti del momento che fanno l’assassino” il chiaroscuro aumenta l’effetto antinaturalistico, i primi piani, le inquadrature dall’alto in basso o viceversa, l’assenza di musica se non una vecchia pianola scordata e il fischio del mostro, accentuano l’inquietudine, la drammaticità del film. Non c’è musica infatti,  se non il fischio dell’assassino prima di uccidere. Un motivo tratto dal Peer Gynt che diventa il leit motiv ossessivo e ossessionante quanto l’impulso patologico dell’uomo. La società di Lang è pronta a vivere l’atrocità. Le istituzioni chiedono aiuto ai criminali che a loro volta lo chiedono ai mendicanti. L’uomo che individua l’omicida è un cieco che avrebbe anche potuto sbagliare… ma in fondo non è raffigurata cieca la giustizia? Il ragazzo che dietro suggerimento del cieco, individua e segue il mostro e segna con la M il cappotto dell’omicida, non fa nulla non si prende la responsabilità di intervenire anche se lo ha visto con la bambina. Lo indica ma non agisce contro di lui, non lo ferma. E non è quello che facciamo ogni giorno? Sapere e non intervenire in prima persona? Siamo tutti colpevoli pare dire Lang. Non condanna del tutto il pedofilo, è un uomo comune, un impiegato con i suoi orari le sue abitudini, uno di noi: se è un mostro è forse la sua infanzia che lo ha reso tale? Tutto crea suspence, paura e disagio in quest’opera che ci rimanda non solo alla paura del pedofilo ma anche ad una società inebetita ed indifferente che non sa più difendere il suo futuro. Incapace di agire, i suoi componenti si accusano a vicenda pensando possibile che i propri vicini, i propri compagni possano essere assassini. Ciò che mostrerà Eduardo De Filippo  nella commedia Le voci di dentro. Le persone diffidano gli uni degli altri, si accusano, invece di proteggersi. Di lì a poco ci sarà l’ascesa di uno dei mostri peggiori della storia. E Lang sottolinea la debolezza dello Stato di diritto  che troppo spesso non riesce ad opporsi alla violenza e a difendere coloro che per primi soccombono e sono mercificati: i bambini e gli adolescenti. Straordinaria resta l’interpretazione umana e tragica, patologica e disperata di Peter Lorre.

M. P.

 

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