Nell’accezione attuale, si parla di adolescenza da poco più di un secolo.

Risale infatti all’epoca industriale il riconoscimento di quella fase propria dell’evoluzione umana, che si colloca tra la pubertà e l’età adulta.

Quell’età di mezzo che nel ‘900 era stata descritta sulla base di specifici modelli di trasformazione e di comportamento non è più traducibile, come è stato fino a qualche tempo fa, in un fenomeno di trasgressione e di ribellione alle regole genitoriali, funzionale all’ individuazione di Sé e volto a delineare una graduale autonomia personale dalla famiglia.

Oggi è probabilmente anacronistico il fatto stesso di definire in una categoria omogenea l’adolescenza; dal momento che l’ingresso nella pubertà è anticipato ai 12 anni circa e l’ingresso nel mondo del lavoro è posticipato talvolta ben oltre i 20 anni.

Vi sono senz’altro caratteristiche universali, che ciascun individuo sperimenta in età evolutiva, affrontando modificazioni a livello neurofisiologico, ormonale, somatico e psicologico, ma le modalità in cui vengono declinate le modificazioni del proprio corpo, le inquietudini che compaiono di fronte a tale passaggio e le relative risposte sono molteplici e il definirle in categorie predefinite rischia di essere una riduttiva semplificazione, tanto che probabilmente sarebbe più corretto parlare di adolescenze al plurale.

Nelle società tribali i riti di iniziazione avevano la funzione di verificare l’adeguatezza dei figli maschi, superata l’età puberale, a diventare adulti e ad essere inclusi nella comunità adulta.

Tali riti richiedevano di dimostrare, attraverso prove fisiche ed emotive, il coraggio nell’affrontare potenziali pericoli, la capacità di superare i confini del conosciuto, fuori da qualsiasi protezione.

Nel mondo occidentale la “patente” di persona adulta solitamente coincide con il raggiungimento di un obiettivo professionale e/o con l’ingresso nel mondo del lavoro, quindi con la prima forma di autonomia economica dalla famiglia e con la fuoriuscita dalla casa dei genitori, per vivere una propria indipendenza psicologica e sociale.

Cosa hanno in comune le società tribali e la nostra società tecnologica e digitale?

In entrambe si riconosce un’epoca in cui serve affermare un cambiamento, l’assunzione di un’identità attraverso un ruolo sociale che permetta a un individuo di essere riconosciuto come soggetto competente.

Se in un mondo fatto di pericoli legati alla foresta era importante dimostrare di essere pronti per cacciare un animale e meritare una moglie con cui creare una nuova famiglia, dimostrando capacità di forza, di coraggio  e di protezione attraverso la propria abilità fisica, nel nostro mondo, che riconosce l’adolescenza come un’epoca con proprie specificità, l’attenzione va sul processo di apprendimento di compiti evolutivi, necessari a fronteggiare le sfide che ogni società complessa propone e sulla costruzione di Sé.

Gli adolescenti di oggi, rimodellati su parametri nuovi rispetto ad un passato anche recente, si sperimentano attraverso un mondo digitale e virtuale che li distanziano moltissimo da quelli che dovevano dimostrare di sapersela cavare in condizioni di sopravvivenza.

In quest’epoca, che presenta prospettive e processi “fluidi”, anche le certezze che ci hanno permesso di identificare nell’adolescenza un’epoca definita da caratteristiche peculiari vengono meno.

Se consideriamo che fino alla metà del ‘900 il lavoro minorile era considerato come normalità e l’istruzione praticamente riservata ai figli delle classi più elevate ci rendiamo conto delle evoluzioni che la nostra società ha saputo compiere: il riconoscimento dei diritti dei minori, l’obbligo scolastico ed il passaggio a un’istruzione per tutti/e.

Quella stessa società però ha la responsabilità di sfruttare i suoi figli più giovani generando desideri indotti e modelli da imitare, manipolando i bisogni attraverso un’offerta sempre più spregiudicata di beni di consumo attrattivi con la promessa di raggiungere facilmente posizioni sociali di successo e di potere in un illusorio gioco di ruoli.

Se da un lato, quindi, la società occidentale ha riconosciuto con la Carta dei Diritti del Bambino le tappe evolutive necessarie ad una crescita rispettosa dei suoi vari processi, dall’altro dimostra una totale indisponibilità a rispettare ed a favorire la realizzazione dei compiti evolutivi.

Serve interrogarsi sull’effettiva attenzione che il mondo adulto dedica ai nostri giovani: sappiamo dalla psicologia quali siano gli elementi prioritari nella costruzione di un’identità realizzata.

(Continua)

Rosa Gherardini, pedagogista e psicologa psicoterapeuta. Integra il colloquio clinico con terapie corporee quali la Bioenergetica ed il Training Autogeno. È practitioner EMDR.